Del particolare e del mondo

Più duttile è la tua scrittura, più ampio è lo spettro di storie che puoi raccontare.

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22 Agosto 2023

S alman Rushdie crede che esistano due modi per scrivere bene: uno minimalista e uno massimalista. Il primo si concentra su una piccolissima storia, molto semplice e perciò pura. Il secondo cerca di accogliere in sé quanto più mondo riesce, con l’ambizione di ottenerne un enorme affresco.

Conclude dicendo che ciò che sta nel mezzo è meno interessante e che, di conseguenza, uno scrittore dovrebbe domandarsi e capire quale sia il suo temperamento: massimalista o minimalista?

Mi ha fatto riflettere su ciò che ho scritto sino a oggi, perché in trent’anni ne ho scritte di cose.

Il mio temperamento è sempre stato quello massimalista, ma a volte ho scelto una via minimalista, ridotta, che faceva piazza pulita del mondo per concentrarsi sul particolare. Certo, se mi si costringe a scegliere, allora le grandi visioni sono il mio pane, perché sono abile a unire i puntini distanti, molto più che ad analizzare il singolo puntino. Tuttavia amo quasi alla pari il suo opposto e ritengo sia fondamentale, all’occorrenza, saper applicare una sorta di feng-shui alle proprie storie.

La mia trilogia d’esordio era certamente massimalista. Del resto era la prima e non feci altro che seguire la mia indole massimalista. Non ci volle molto, però, che sentii l’esigenza di cambiare approccio. Fu così che La Rocca dei Silenzi aveva un’impostazione tendenzialmente minimalista, con un’ambientazione ridotta all’osso e una vicenda lineare – minimalista per quanto possa esserlo un high fantasy, cioè, che abbonda sempre di dettagli. Difatti potrebbe sembrare il contrario.

Per dirimere la questione e capire perché consideri “la Rocca” minimalista, lo si dovrebbe comparare all’esempio più lampante di (mio) massimalismo, cioè al Il giorno dopo, romanzo colossale. Complesso, con decine e decine di protagonisti, affronta tre questioni spinose quali sono l’ignoranza, la rigidità e la chiusa e tutto ciò che ne consegue. C’era tanto da dire e tanto da raccontare. È indubbiamente il mio sforzo più compiuto e maturo di massimalismo.

Indubbiamente, anche Senzanome è massimalista, seppur di modo difforme. Complesso, vaga sì per mezzo mondo, ma affronta una tematica precisa, la quale è però intrecciata con la vita e i mille modi in cui ci smuove o con i quali devia il nostro cammino. A differenza de Il giorno dopo, però, la vicenda è piuttosto lineare. Sono le implicazioni umane, ovvero il mondo interiore, quello che viene discusso con un approccio massimalista.

L’ultimo testo che ho scritto, invece, si concentra sulla storia di un unico protagonista. Si faccia attenzione a comprendere che Rushdie non parla dello stile della prosa, ma dell’approccio alla storia o, ancora più a monte, a quale pezzo di una storia si decida di raccontare – cioè, preciso, se il mio approccio alla storia può essere minimalista, il mio modo di scrivere non lo sarà mai.

Oggi, e veniamo al presente, affronto la prima stesura di Sideralema. Nell’economia della saga de I Silenzi appartiene certamente ai volumi “minimalisti”, discostandosi di molto da ciò che lo precede. Se guardo ai romanzi successivi, però, tornerò di prepotenza col massimalismo, anche se in dosi difformi: a volte più, a volte meno.

Per concludere, ritengo sia limitante definirsi o massimalisti o minimalisti. Quelle sono parole che Salman Rushdie dice agli aspiranti scrittori, ancora privi di un’identità ben definita. Ritengo, piuttosto, che abbia ragione da vendere se si fa leva su questa sua distinzione per rispondere alla seguente domanda: “Che tipo di approccio si presta alla storia che vuoi raccontare?

Bisognerebbe essere duttili abbastanza da poter scegliere la strada migliore.

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