E se da domani non potessi più fare ciò che ami?

Sei molte cose

Photo by Yang Shuo on Unsplash

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16 Ottobre 2020

Sono seduto alla scrivania. Guardo una delle lezioni del corso di scrittura. Todd Brison sta spiegando come usa le note per scrivere un articolo. Incidentalmente, a un certo punto dice:

“Più avanti, in futuro, perché so che non smetterò mai di scrivere.”

Qualcosa scatta dentro di me.

La mia prima reazione è: “La pensavo allo stesso modo. Poi…

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Ero sicuro che non avrei mai smesso di scrivere in vita mia. Eppure cominciai a sfumare.

Il mio io interiore andava alla deriva nella calma piatta di un oceano sconosciuto. Non soffiava un alito vento.

Ero immobile. O forse no, ma non avevo punti di riferimento. In ogni direzione scrutassi c’era solo quell’acquosa, informe pianura. Persino l’orizzonte era nascosto dalla foschia.

Tanto lento era stato quell’andare che mi colse di sorpresa. Il giorno in cui ne divenni consapevole, m’allarmai. Da troppo tempo non scrivevo nulla.

Troppo tardi. Mi trovavo già nel bel mezzo dell’oceano. Dopo una vita in cui la scrittura m’aveva accompagnato, ora ero solo.

A tu per tu con l’impossibile, ero sconcertato. Spaventato.

La paura tramutò l’oceano in uno sterminato deserto. Stavo lì, fermo, ritto in piedi, incapace di decidere in quale direzione procedere, forse perché troppo debole per muovere un solo passo.

M’ero perso.

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Anni di deriva più altri anni necessari ad attraversare quel deserto.

Oggi mi guardo alle spalle e conosco le ragioni, riconosco l’inevitabile, accetto la presunzione. Ho esperienza di ciò che prima m’era sconosciuto, sicché cullo in me una forza che non avevo. L’ignoranza m’aveva reso fragile.

Eppure m’è accaduto una volta, sono proprio sicuro che non potrebbe accadermi ancora? Sì, potrebbe. Saperlo fa parte della mia nuova forza. Reagirei in tutt’altro modo, infatti.

Come faccio a saperlo?

Ricapitoliamo.

Quando la cosa che ami non c’è più

Una mattina ti svegli e quello che ami da sempre, quello in cui sognavi di realizzarti o che, senza, non saresti tu, non c’è più.

C’è il suo ricordo. Forse c’è qualcuno che può farla, ma non tu. O forse proprio non si può più fare. Dipende da cos’è, ma qualsiasi cosa sia non fa più parte della tua vita.

Cosa fai?

La depressione strisciante m’aveva tolto tutto. La gioia di vivere, l’illusione, l’idea che per me esistesse un orizzonte e tempi migliori sarebbero venuti.

Da autore di romanzi pubblicati e letti, m’ero ridotto a non avere né arte né parte. La mia scrittura non c’era più. Così come ora lo chiedo a te, mi chiedevo: “E adesso cosa faccio?

È difficile decifrare la vita quando la più grande certezza che hai su te stesso si trasforma nel tuo più grande tormento. Non sai a cosa appigliarti. Fai vari tentativi per risollevarti, ma fallisci in modo ripetuto e straziante.

Se fosse facile uscirne, non saresti caduto così in basso.

Cominci a chiederti chi sei diventato. Dov’è finito l’uomo che un tempo si guardava fieramente allo specchio? Dov’è, oggi che si vergogna?

Era questo che i tuoi genitori speravano per te? Cosa ne pensano i tuoi amici? Non ti dicono nulla, perché sei bravo a recitare.

E tua moglie? Ah, be’… Ti ha già chiesto la separazione un paio di volte, vedrai che la terza è quella buona. Garantito.

Perdere la cosa che si ama mette a dura prova chiunque.

Ti senti come quel ragno che un giorno cadde nella vasca. Sa che o ne esce o è spacciato. Prova e riprova, infatti, ma continua a scivolare verso il basso.

Non c’è nulla da fare, non fa presa! E tu neppure.

Esiste sempre una via

Nonostante tutto, però, stringi i denti e ti dici che non è possibile. Che non ti sei reincarnato in qualcun altro. Sei pur sempre tu!

La perdita è grande, ma non può finire così.

Ero capace di scrivere un romanzo in pochi mesi, pur se lavorando come tutti i comuni mortali dalle 9 alle 5. Ero quello a cui gli aspiranti scrittori chiedevano dove trovassi il tempo. Ero parso inarrestabile, mentre ora stavo seduto a commiserarmi.

È così che ti vedi: uno spreco di qualità. Un fallito.

Tuttavia sai di cos’eri capace e ti dici che devi agire. Te lo imponi, ma non ci riesci.

Ti sfugge qualcosa. Insisti. Niente. È estenuante.

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Una notte, seduto in bagno, osservo il ragno dentro la vasca.

Insiste e insiste, poi s’immobilizza. E resta lì, come se fosse stanco o, peggio, si fosse rassegnato. Faccio per salvarlo, ma proprio in quel momento scatta di nuovo in avanti.

Scivola ancora, però la seconda volta cambia strada e comincia a percorrere la vasca. Non si fa paralizzare dalla tremenda situazione.

È rapido.

Una volta sull’altro lato della vasca trova il buco dello scolo e ci s’infila. “Ah, guarda!”, penso, ma non sono così convinto che da quella parte ci sia la salvezza. Sembra più un suicidio.

Riemerge! E lì, vicino allo scolo, c’è il tubo snodabile della doccia. Prova a salirci un paio di volte, ma scivola. Insiste e alla terza ci riesce. Comincia a percorrere il tubo.

Lo osservo salire su su, sempre più su.

Quando arriva in cima, fa un paio di giri privi di senso. Non so perché, ma mi sembra stia ballando. Poi attraversa il “ponte” verso la salvezza. Percorre gli ultimi centimetri del gancio senza esitare e raggiunge il muro!

Nonostante soffra d’aracnofobia, stringo il pugno in segno di vittoria! “Grande!” esclamo a voce alta.

Anche se so che il ricordo mi rovinerà il sonno, quel ragno lo lascio andare per la sua strada. I maestri di vita si rispettano.

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Cominci a incazzarti ed è già un gran passo in avanti, rispetto all’apatia. Non agisci, ma almeno reagisci, anche se fai una fatica tremenda.

Poco a poco, prima strisciando, poi camminando carponi, fino a risollevarti in piedi, muovi un passo dopo l’altro, anche se un po’ ingobbito. Avanzi. Allora recuperi la posizione eretta. Cammini sul serio, ora. Ti senti meglio, sicché acceleri. Cominci a correre…

Sei tornato.

“Io sono l’origine di tutto quello che mi è successo.” ― Charlotte Eriksson

Quando ti guardi allo specchio, ti scopri migliore di prima. Più umile, perciò più forte. Più consapevole, perciò meno fragile.

Il processo che hai vissuto ti ha donato una nuova certezza. Non è nulla di specifico, legato a qualcosa di esterno, che pensi ti definisca. È una forza interiore e quella sì che ti definisce.

Non importa cosa ti accada nella vita, esiste sempre una via. Quanto tempo ci metti a trovarla conta relativamente: esiste e la troverai. Devi soltanto evitare di rassegnarti.

Del resto, nessuno ti ha mai detto che vivere fosse facile.

Se ti definisci, ti limiti

Vivere nella paura di perdere ciò che pensiamo ci definisca significa minare la propria esistenza. Nulla ci definisce. Chi sei dipende dalla tua essenza.

Ieri ero un romanziere. Oggi sono un altro tipo di scrittore e non me l’aspettavo di cambiare tanto. Domani, chi lo sa, potrei diventare un fotografo.

Sai cos’è? Non m’interessa più saperlo.

La nostra definizione dipende soltanto da noi stessi. Definirsi con qualcosa di esterno, che non può essere sotto controllo, è privo di senso. È fuorviante.

Darsi una definizione precisa è il modo esatto per perdere di vista chi si è. Siamo esseri in divenire. Siamo molte cose, non una.

Non definirti:

• Se ti definisci in base a una cosa specifica, vivi nel timore di perderla.

• Se ti definisci in base a chi vuoi diventare, sei assediato dal terrore di fallire e di non essere all’altezza.

• Se permetti agli altri di definirti, avveleni la tua essenza.

Tutto finisce prima o poi. Credere a una definizione non può che sfociare in una crisi. Ti porta a quel brutto risveglio, quando all’improvviso ti accorgi che ciò che amavi non c’è più.

Tranquillo, non è nulla di definitivo. Per quanto importante sia la perdita, il fatto non ti rende un vuoto a perdere.

Non sei le cose che fai, che sono soltanto il tuo mezzo d’espressione. Non sei nemmeno le cose che credi di essere.

Sei molto di più.

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