Ho fatto un sogno su di me

L’unica risposta di cui necessiti è credere in ciò che fai

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27 Ottobre 2020

Ho sognato di avere una scelta.
Sono sicuro che fosse un sogno: facevo la scelta giusta.

Sono stanco di sbagliare. Anche se, forse, non ho mai sbagliato per davvero. Mi sono soltanto arreso troppo presto.

Nel sogno aprivo una porta. Oltre la soglia la luce di un nuovo mondo m’illuminava. Sapevo d’aver scelto bene, perché era facile avanzare. A ogni passo avevo la certezza che la direzione presa fosse quella corretta.

La mia meraviglia era leggera come il volo delle rondini. Sentivo di galleggiare su una superficie impalpabile quanto la felicità, lì, ove la felicità aveva una definizione precisa: ero io.

Le emozioni migliori mi accompagnavano, ma restavano defilate, come un sottofondo che sosteneva l’animo. Ero me stesso e il mondo mi apprezzava senza riserve.

Ho un ricordo indelebile di quel mondo. Si chiamava Essenza. Tutti, non soltanto io e nessuno escluso, erano lo specchio della propria verità assoluta e finita, pur rifrangendo l’infinito.

Su Essenza non esisteva il superfluo, soltanto l’essenziale.

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Al risveglio è come se fossi fermo, ritto in piedi nel bel mezzo di un giardino. L’erba è tagliata all’inglese. Il sole è alto e picchia, ma una grande quercia mi fa ombra e una brezza fresca mi carezza, quasi che volesse farmi solletico.

La sento, ma non la percepisco. Ho di fronte un muro coperto d’edera. Mi sbarra il passo. Nel muro sono state ricavate cinque porte.

Per una ragione che disconosco sono certo che siano di legno massiccio. Sono tutte dipinte di tinte pastello, tranne una. Ognuna ha una targa di metallo incisa con una scrittura sconosciuta e che misteriosamente comprendo.

Osservo i pomelli d’acciaio rilucente. Sono tutte aperte, lo so, eppure non avanzo. Non so quale scegliere.

Chi sono?

A partire da sinistra la prima porta è gialla. La scritta dice: “Grande sogno, grande rischio”. La seconda porta è arancione e la scritta dice: “Le certezze allontanano l’essenza”. La terza porta è verde: “Una nuova soluzione è incognita”. La quarta è azzurra: “Esiste sempre un’altra via.

Poi c’è l’ultima. È l’unica che non ha colore. È nera di un negrore che sembra inghiottire la luce all’intorno. Sembrerebbe un buco geometrico se non fosse per il pomello argentato e la targa “Rinuncia”, entrambi sospesi su un abisso.

Cinque porte. Una scelta.

La brezza mi sospinge, come se volesse allontanarmi. È meglio, mi sussurra. Assscoltamiii… Eppure sono arrivato sin lì e non sono il tipo che scappa di fronte alle sfide della vita.

Sono il tipo che le affronta di petto e rinuncia quando qualcuno infrange le sue illusioni, quando il peggio è già passato. Sono l’uomo delle sfide vinte a metà. L’Incompleto.

Sono quello che ha creduto in sé stesso sconfiggendo le più ostili previsioni. Colui che quando aveva il sogno a portata di mano ha ritratto il braccio. Lo stesso che rinunciò, s’è scrollato di dosso la sconfitta e oggi fissa un nuovo orizzonte.

Se soltanto quel muro si togliesse di torno!

Nell’illusione esisto una seconda volta, infatti, ma sono fermo di fronte a cinque porte. E non riesco a scegliere.

Chi vorrei essere?

Un romanziere.

È da quando avevo 14 anni che il mio sogno a occhi aperti non è mai cambiato. Mi sono circondato di libri, dacché scrivere era evadere. Le parole erano il mio rifugio.

Scrivevo quando mi dicevano che ero un ignorante, che sognavo l’impossibile. Non mi sono fermato quando hanno tentato di distruggermi. Li ho sfidati con la morte nel cuore.

Poi le ferite hanno cominciato a essere troppe. A non far più in tempo a rimarginarsi. Allora mi sono distrutto da solo. Ho chinato il capo, mi sono girato dall’altra parte e me ne sono andato.

Quanto tempo c’è voluto non lo so nemmeno io, ma sono tornato. Ora ho di fronte una scelta complicata. L’ennesima.

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Il mio sogno è ancora vivo. Se ne sta lì, in silenzio, di fronte a me, con quell’aria scanzonata, tra il divertito e il triste. È distinto, veste bene. Mi sta fissando ed è seduto sulla panchina sotto la quercia.

Consapevole di non poter evitare la scelta, mi prendo una pausa. Tanto non ne vengo a capo. Smetto di fissare le porte e mi avvicino all’uomo.

«Prego», mi dice quello e m’invita con un gesto a sedermi al suo lato.

«Grazie.»

Ma sì, dai. Scambiamo quattro chiacchiere col Signor Sogno. Va bene, ma ho qualcosa da dirgli? O forse mi aspetto che sia lui a parlare?

«Possiamo anche restare in silenzio», mi dice. Lo studio. Guarda lontano con fare rilassato. Tira fuori un pacchetto di sigarette, ne estrae una e l’accende. Osserva il parco, non me.

«Ancora fumi, capisci?» gli dico.

Finalmente mi guarda e mi sorride. «È un sogno. A te non fa alcun danno».

«No, però io ho smesso.»

«Capisco.» Prende un’altra boccata di tabacco e soffia il fumo in alto, piegando il capo all’indietro. «Sicché credi che io sia il passato.»

Ci penso un attimo, aggrottando le sopracciglia: quell’affermazione mi lascia perplesso. «Non credo nulla. Mi chiedo come mai sei ancora in circolazione…»

«Hai smesso di fumare, non di sognare.»

«…»

Si alza una folata di vento. Qualcosa sembra cambiare nell’aria. Osservo il muro. Nulla. Non è cambiato niente. È soltanto la mia immaginazione; sono soltanto i miei timori.

«Avevo pensato di prenderla con più calma, stavolta», commento. «Andarci piano, diciamo.»

«Ti conviene?»

«Se avessi la risposta a questa domanda, non mi sarei bloccato di fronte a queste porte.» Indico il muro col mento.

«Mmh.» Il Signor Sogno annuisce. «Non dimenticarti di chi sei.»

Rido. «Cos’è, una minaccia?»

Il Signor Sogno non ride affatto. Mi fissa come se stesse braccando la mia insicurezza per farla a pezzi. «È questo che credi, dunque?»

La domanda coglie nel segno. Apro la bocca a metà, poco convinto, e la richiudo. Non c’è davvero nulla che possa rispondere senza far la figura dello sprovveduto.

Inspiro a fondo e soffio fuori l’aria con forza. Appoggio gli avambracci alle ginocchia e scruto il muro. Devo ammetterlo, l’unica cosa che m’appare rassicurante è l’edera.

«Non è questione di saper scegliere.»

Cosa? Giro il capo e osservo l’uomo. Ho registrato il suono della frase mentre ero distratto e me la ripeto per capire. «Non lo è?»

«No.»

«E cosa allora?» chiedo, pronto ad accettare la risposta.

«A questa domanda devi rispondere tu, io non posso.»

«…»

«La scelta sarà soltanto naturale conseguenza, quando ti risponderai», conclude il Signor Sogno, che si solleva in piedi. Tira la sigaretta al suolo e la spegne con la suola di cuoio delle scarpe eleganti.

«Fumi e sei incivile», commento.

«Sai perfettamente che quello che faccio io non ha alcuna importanza», replica. Solleva il cappello appena in segno di saluto e fa il giro della panchina. «Arrivederci, Andrea.»

«Ciao…»

Lo lascio andare. Mi rimetto in piedi anch’io con un sospiro e mi riavvicino al muro con passo lento, circospetto. La scelta ammorba i miei pensieri. Ho le spalle pensanti e le gambe sono doloranti.

Sarà che somatizzo e non c’è nulla di reale, ma mi sento uno straccio.

Posso anche rinunciare, mi dico. È una delle possibilità… Alzo le braccia di fronte a me e le faccio ricadere, dandomi una doppia pacca sulle cosce. Rinunciare? Tu? Stringo le labbra. Devi essere impazzito! Ti tormenteresti per il resto dei tuoi giorni.

D’accordo, ma qual è la soluzione di questo enigma? Quale porta mi aiuterà a raggiungere la mia Essenza?

Un corvo piomba su di me come una saetta. Prima che possa schivarlo atterra sulla mia spalla sinistra, piantandomi gli artigli nella carne. Mi scappa un verso di dolore e faccio per scacciarlo con un manrovescio, ma quello mi becca la mano.

«No!» gracchia.

Non sono in grado di descrivere la mia espressione. Capisco che è un sogno, ma mi pare le cose rasentino il grottesco!

«Sono un messaggero. Ti porto la risposta.»

Mi rassegno all’assurdo, anche perché il pennuto mi sta facendo un sacco di male. «Potresti stringere un po’ meno?» Lo supplico con una smorfia. «O vuoi farmi piangere per il dolore?»

«Se stai fermo.»

M’immobilizzo. Finalmente gli artigli allentano la morsa.

«Ora dimmi qual è la risposta», gli dico con un tono acido, stringendo i denti. «Quale porta è la corretta?»

“Una qualsiasi, se ci credi.”

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