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8 Marzo 2022
I tempi che corrono mi consigliano di riaffermare le mie origini. C’è troppo chiacchiericcio, troppa preoccupazione morbosa e un darsi addosso che sin dall’inizio della pandemia mi rattrista parecchio, più che contrariarmi.
Credimi, mi sforzo di non giudicare e perlopiù vi riesco, anche se non sono perfetto. Di conseguenza la mia è veramente una sorta di mestizia, di amareggiata rassegnazione. Non riesco ad accettare questo dividersi in bande, questo vedere un mondo variopinto in bianco e nero.
Così torno alle origini, alla mia casa virtuale. E qui mi trincero, parlandoti, alla ricerca di un dialogo perduto da tempo, perché i social hanno fagocitato tutto, abbuffandosi d’umanità, soltanto per poi cominciare a vomitare ogni genere di volgarità, violenza verbale e isteria.
Non riesco ad accettare questo dividersi in bande, questo vedere un mondo variopinto in bianco e nero.
Preferisco quindi ritirarmi e tornare a riflettere con calma. La mia realtà, i miei mondi interiori, hanno sempre richiesto solitari sentieri boschivi per essere esplorati e compresi. Questo gridarsi addosso, questo accavallarsi, non mi è proprio.
M’è sempre stato stretto e l’ultimo periodo di goffo avvicinamento ai social network me l’ha chiarito. È stata l’umana debolezza, il bisogno a spingermi, e purtroppo sono stato scostante e anche irritante, oltreché divertente e arguto. È la dimostrazione che li soffra poco e li capisca ancora meno.
Comincio forse a essere anacronistico.
Ora, non credo una persona perda valore col tempo. Anzi, la vecchiaia è spesso latrice di saggezza e sarebbe meglio ascoltarla con attenzione, quando non bercia contro i giovani, nevrotica. Vale anche per me, che vecchio non sono. Quindi ciò che forse è anacronistico, obsoleto, è la mia prospettiva sulla realtà: interessa a pochi, così come io non sono affatto attratto dalle cose che attraggono le masse.
Da sempre, invero, ma sempre di più. E lo percepisco.
Il divario si allarga e non sono affatto sicuro che questo mio restare indietro sia una cosa negativa, visto cosa c’è all’orizzonte.
Lascio a te il giudizio sul nostro futuro.
A me, in qualità di scrittore, da cultore dell’immaginazione, non resta altro che continuare a calcare il sentiero meno battuto che mi rese diverso, tanti anni fa.
Dico cose, scrivendo, che spesso vengono considerate provocazioni. Altrettante volte infastidiscono e, certo, non sono mai stato un tipo tiepido. Eppure, ahimè, temo di essere sin troppo moderato in questa mia ricerca del dialogo, sicché è venuto il tempo della svolta.
Considero mio preciso dovere mondarmi da tutte le impurità della mediazione che negli anni hanno insozzato il mio pensiero. Era candido, ora è biancastro, a volte grigiastro o giallastro. Mi fa impressione.
Rivoglio il candore, seppur scevro dell’ingenuità d’un tempo.
Se ci riesco, sarà potente.
Non sono la Bocca della Verità. Ma ho la mia verità da dire e di quella e soltanto di quella mi ritengo responsabile e posso parlare con cognizione di causa. E da quella verità ripartirò, pur se in un mondo che ti spiega per filo e per segno come “tutti ricercano l’accettazione”.
Lo capisco e non sono certo nella posizione di poter dubitare di esperti e studiosi della psicologia umana. Viene però il momento in cui si comprende che la ricerca dell’accettazione è dannosa, perché ti impedisce di essere chi sei.
Sarà umana, ma è fuorviante.
Insomma, passo. Te lo dico con grande sincerità. E da qui riparto.
Il mio rinunciare all’accettazione è evidente. Mi trincero nel mio sito web personale, senz’avere alcun seguito di lettori da portarmi appresso. Mi calo volontariamente e fieramente nei panni dello scrittore indie, contro ogni logica commerciale e perfino contro i miei stessi trascorsi semiprofessionali, che sì suggerirebbero altri obbiettivi.
Ora mi allontano pure dai social network, in cui non interagirò più – ma continuerò a pubblicare i miei articoli dall’esterno, chiudendo i commenti, così il chiacchiericcio non avrà altra scelta che trasformarsi in vero dialogo o tacere per sempre.
Insomma, elimino qualsiasi cosa possa portare un minimo – sottolineo minimo – d’attenzione.
Sono uno scrittore e amo a tal punto la scrittura che, anche se sopito, il mio sogno di poter un giorno vivere grazie ai miei romanzi non morirà mai. Me lo porterò nella tomba, forse, o forse sarò fortunato, prima o poi. Ma, sai cos’è… non conta. Non è quello che m’interessa: ci sono già passato.
Il mio sogno, ormai, è vedere mia figlia crescere e diventare donna e tutto ciò che lei sogna e sognerà. Poi sarò soddisfatto. Diventi padre e prendi le misure alle tue ambizioni personali: sono sogni meravigliosi e non vi rinuncio. Ma esistono meraviglie nella vita che li superano di numerose grandezze.
Questo ritrarmi, pubblicare online parole che assai pochi leggeranno – anche queste, sì – sembra quasi un suicidio artistico.
Per questo sono diverso. A me sembra, infatti, che già comincio a respirare meglio, ossigenando il mio pensiero.
Sono abituato a pormi mille domande e ricercare con passione le risposte, anche se ne ottengo poche. A maggior ragione, capirai, m’è sempre parso opportuno rispettare le verità che mi donano.
Sembra un suicidio artistico. Invece a me pare che già cominci a respirare meglio, ossigenando il mio pensiero.
Il mio dovere è quello di scrivere romanzi che abbiano un valore. Non assoluto, non commerciale: un valore letterario. Scriverli, cioè, al mio meglio, rendendoli avvincenti ma anche, e soprattutto, significativi. E farlo senza la pretesa che siano capolavori epocali.
Il tuo tempo vale molto, più del tuo denaro – a maggior ragione coi prezzi irrisori dei romanzi di un indie. E, credimi, l’ultima cosa che voglio vivere è la sensazione di chiederti tempo e denaro in modo disonesto, sapendo di non aver dato tutto me stesso; ovvero senz’aver intriso quelle pagine della mia soggettiva, ma potente visione.
Per farlo devo isolarmi dalle impurità.
Questo è il modo: accettare soltanto la contaminazione di chi veramente ricerca un dialogo con me. Ovvero contaminarmi del valore altrui, non delle sue paure e frustrazioni. Non abbisogno della tua pochezza, ma della tua grandezza. A valle o a monte dei miei romanzi fa lo stesso.
È semplice. Se rendi il dialogo più faticoso di un “like” o di un veloce giudizio o di una battutina, per quanto simpatica, chi ti parla ne ha veramente voglia.
Mi spingo più in là ancora, però, azzerando il contatore: che siano tante persone, pochissime o nessuno è irrilevante. Scrivo per devolvere al mondo una piccola parte del valore che il mondo stesso mi ha donato.
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