Il ritmo della narrativa nel 2020

Se già vent’anni fa si sottolineava l’importanza del ritmo nella narrativa commerciale, oggi è diventato il fattore più importante che uno scrittore deve tenere in considerazione.

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17 Settembre 2020

Gli anglosassoni dicono fast-paced: che ha un “passo rapido”. La presunta qualità del romanzo si trova spesso già in copertina, nel blurb.

Ti sei mai chiesto il perché? Sono certo tu conosca la risposta: oggigiorno i lettori pretendono che la prosa vada dritta al punto, dalla prima all’ultima pagina.

Pur se molti aspiranti scrittori considerano il fatto un’ovvietà, fin troppi rifiutano di abbracciarne le conseguenze, in modo consapevole o meno. Così la percentuale dei manoscritti inviati che vengono scartati alla prima pagina schizza alle stelle.

Se scrivi narrativa, devi pensare con attenzione a come racconti la storia che hai in mente.

Il tuo obiettivo può essere personale, perché la scrittura ha un potere curativo, persino salvifico. Se invece pensi all’editoria e alla pubblicazione, allora non puoi prescindere dal passo rapido.

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A fronte di numerosi difetti, una delle mie virtù è l’intolleranza per la menzogna. E tra tutte le menzogne le peggiori sono quelle che diciamo a noi stessi.

Come chiunque altro me ne dico parecchie, probabilmente più di quanto pensi, ma sono bravo a scovarle. È un’inclinazione naturale, dovuta alla suddetta intolleranza, e trent’anni di scrittura hanno affinato tale capacità.

Se annuso puzza di menzogna, il segugio che c’è in me solleva una zampa anteriore e punta la preda, spesso prima ancora che me ne renda conto. E sono insoddisfatto finché non l’acciuffo e soffoco.

È una caccia infinita, perché le prede sono troppe, di varia specie e dimensione.

In scrittura la consapevolezza di chi si è, cosa si sta facendo e dove si vuol arrivare non è un plus, è fondamentale. Il modo migliore per migliorare quest’aspetto è smetterla di mentirsi.

Chi sei e cosa stai scrivendo non posso trattarlo.

Dove vuoi arrivare con i tuoi scritti? Qual è la tua meta?

Scrivere narrativa nel 2020

In genere, a parte una minoranza, gli scrittori di narrativa sognano la pubblicazione. Ora, pubblicare non è un traguardo reale. La maggior parte dei romanzi pubblicati vendono poco o nulla. Centinaia di esordienti appaiono e scompaiono ogni anno, a fronte di migliaia di aspiranti scrittori che non arrivano nemmeno alla pubblicazione.

Se ciò che si ricerca è la soddisfazione di vivere il processo e stringere tra le mani un frutto del proprio lavoro che abbia un aspetto professionale, lo capisco. Molti di noi sono feticisti dell’oggetto “libro”.

La stessa cosa non vale per un editore, però, che confeziona l’oggetto per venderlo e, quindi, lo considera un “prodotto”.

La diretta conseguenza è che i feticisti di cui sopra e gli editori sono incompatibili nella maggior parte dei casi. Si salvano i casi in cui l’aspirante scrittore ha attivamente pensato al frutto delle proprie fatiche artistiche come a un prodotto.

L’opera d’arte “libro” è un prodotto

Se il termine “prodotto” t’infastidisce, considera che un prodotto non è altro che il risultato di una produzione. Tu produci il testo, assieme all’editor produci la sua versione finale, il grafico produce la copertina, la copisteria produce (stampa) le copie e il distributore produce la distribuzione (le consegna alle librerie), le quali producono la tua visibilità mettendoti in vetrina – se sei fortunato.

È una catena produttiva fatta da molti attori.

L’editore è un’imprenditore e, come tale, produce. Per cominciare col piede giusto considera che il termine ”prodotto” non svilisce la tua arte, è ciò che la rende vendibile.

Un prodotto nasce per essere venduto, infatti. Se vuoi pubblicare — e continuare a farlo — devi pensare a vendere. Se non ci pensi, non hai capito di cosa si tratta.

Arrogarsi lo scettro della cultura

Chiarito un concetto che spesso fa inalberare gli autori d’Italia, ovvero chiarito il mio punto di vista sull’argomento, sono il primo a dire da molti anni che l’editore non è un imprenditore qualsiasi, perché produce cultura.

Ora, il concetto di “cultura” ha confini piuttosto labili, quasi fosse un elastico che si può stirare a piacimento, a seconda delle esigenze. Eppure anche in questo caso si sollevano foreste d’autori e venti di tempesta.

Si salvi chi può.

Ognuno di noi ha un’opinione differente su quali siano tali confini. Il fatto basterebbe per chiudere la questione, perché se esistono concezioni difformi, significa che non ne esiste una valida, che domina su tutte.

Purtroppo, è sufficiente entrare in uno dei numerosi forum dedicati alla scrittura per capire che non basta.

La domanda che ti pongo è: cosa significa che in Italia vendono sia Dan Brown che Umberto Eco? La mia risposta è semplice: il mondo è bello perché è vario.

Non farai alcun bene alla tua scrittura perdendo tempo prezioso disquisendo sul nulla.

Non riuscirai mai a convincere tutti i lettori delle tue idee. Ci sarà sempre qualcuno che la penserà in un altro modo e che avrà gusti assai diversi rispetto ai tuoi. L’arte, cosa che la narrativa a mio avviso è, viene giudicata e, quindi, venduta in base ai gusti del pubblico.

L’artista è libero di produrre ciò che sente, ma una volta di fronte al mercato i suoi gusti potrebbero incontrare un enorme consenso popolare o il nulla pneumatico.

Raccontare non è raccontarsela

Quando cominciai ad appassionarmi al Fantasy, il mio autore preferito divenne Terry Brooks. Molti lettori ne parlavano malissimo, perché aveva indubitabilmente copiato “Il Signore degli Anelli” col suo esordio “La Spada di Shannara”.

Vero, ma per due ragioni non ero d’accordo con quell’opinione diffusa. In primo luogo quel romanzo si leggeva che era un piacere. In secondo luogo il suo seguito è una delle più belle storie di cui io abbia memoria: “Le Pietre Magiche di Shannara”.

Il mio messaggio per te non potrebbe essere più semplice. Definire cosa è arte escludendo il come significa non aver capito qual è il compito dello scrittore. E quale sia la differenza tra lo scrittore dei Classici e quello di vent’anni fa, fino a quello del presente.

Sono certo che molti lettori hanno snobbato Terry Brooks per quel peccato originale e si sono persi il secondo romanzo, in cui non c’era soltanto il come, ma anche il cosa.

Lo stile di Terry Brooks, che ha dichiarato d’essersi ispirato a William Faulkner, è fluido, chiaro e capace di evocare senza grandi artifizi. Potrebbe sembrare meno artistico di molti altri, eppure Terry Brooks è uno degli scrittori che mi hanno insegnato a raccontare.

Lui e Ursula K. Le Guin, per essere precisi, la cui grandezza non credo si possa discutere.

Cito la mia scrittrice preferita perché la considero l’altra faccia della stessa medaglia. Entrambi gli autori hanno una prosa che schiva gli eccessivi abbellimenti, ma il primo ha un’impronta commerciale, la seconda un’impronta artistica. Il risultato è che entrambi hanno venduto moltissimo.

Il mondo degli scrittori professionisti non è formato esclusivamente da pennivendoli o, all’opposto, soltanto da grandi artisti. Gli scrittori che vendono sanno raccontare e lo fanno a modo loro.

Disquisire circa il confine tra cultura e commercio non ti renderà uno scrittore migliore, né convincerà i lettori a leggerti. Le uniche cose che contano sono le tue storie e il modo in cui le racconti.

Se vuoi essere uno scrittore devi imparare a raccontare. Se ti diverte trascorrere il tempo disquisendo del “prodotto editoriale”, del colto e del commerciale, non c’è niente di male. Il problema si pone quando simili concetti si frappongono tra te e il tuo patto con la parola scritta.

È tutta una questione di ritmo

Non giriamoci tanto attorno. Se il tuo sogno è pubblicare e vendere a sufficienza per vivere di scrittura, allora ti proponi un obiettivo molto ambizioso. Lo sai che è difficile.

Chi ti dice “impossibile”, però, sbaglia. Il segreto è dirsi la verità. E nella verità camminare. Sembra un sermone religioso. Non lo è.

Per avere una possibilità reale di farcela, non puoi sposare la logica dell’artista maledetto che fa quello che gli pare e piace e che, quando fallisce miseramente, è il mondo che non lo comprende.

Quello non è un artista maledetto — a parte pochissimi casi — è una persona rigida che non ha saputo plasmare la propria arte di modo che fosse godibile dagli altri.

Consideri tu debba essere l’unico soddisfatto, perché soltanto l’artista capisce la propria arte? Va benissimo, ma poi non lamentarti se non convinci nessuno e non vendi copie.

Ciò che l’arte fa, a modo suo, è comunicare. Una persona che non riesce a comunicare con la parola scritta è una persona che scrive, non uno scrittore.

Oggigiorno per arrivare ai lettori di narrativa devi pensare al ritmo.

Ora, è evidente che non tutti i generi necessitino dello stesso ritmo. Un thriller non è un romanzo storico, così come un horror non è un romanzo rosa. Tuttavia la società odierna, frenetica e multi-tasking, ci ha reso poco tolleranti con qualsiasi cosa abbia tempi lenti.

Non è soltanto una questione che concerne la narrativa, ma anche altre espressioni artistiche. Dai un’occhiata a qual è la durata media di un brano musicale oggi e qual era nel 2000. Il cinema? Perché vanno tanto di moda le serie TV?

La nostra attenzione è fragile e ha confini ristretti.

Tralasciando le molte relatività che s’insegnano circa l’incipit — se mi leggete da un po’, già sapete che a me i “corsi di scrittura creativa” fanno venire l’orticaria — potete dar per scontato che dovete attaccare a tutta velocità, sparare il lettore nella storia.

Seconda cosa importante: è bene mantenere il ritmo sempre alto — anche se non dico dobbiate attraversare l’intero arco della storia alla velocità della luce.

Perché Dan Brown, tutt’altro che uno scrittore eccezionale, ha venduto tanto? Spara il lettore nella storia, le sue scene sono quasi tutte cortissime. Usa quasi una tecnica da sit-com e la applica al romanzo. E in questo sì che è un maestro. Azzardando un parallelo, i suoi romanzi sono una stagione intera di una serie TV — poi non è tutto lì. Esiste ad esempio la scelta del tema di cui “tratta” e altre cose.

Il successo non si disprezza, si studia

Quello su cui vorrei che ti concentrassi è che non si deve mai disprezzare uno scrittore di successo.

È assai più utile studiare i suoi romanzi e capire quali sono i punti forti, perché è indubbio che ne abbia — a meno che non pensi che i lettori siano degli idioti.

I romanzi di Dan Brown non mi piacciono, li considero furbi, ma di bellezza letteraria non contengono la più pallida ombra. Eppure l’uomo Dan Brown ha molto da insegnare a tutti gli scrittori che ambiscono al professionismo, ovvero a guadagnarsi la vita scrivendo.

E, ricorda, si giudica l’opera, mai la persona – cosa che purtroppo troppi non hanno capito a questo mondo.

Certi romanzi saranno “solo” intrattenimento, ma se scrivi narrativa e pensi di non dover intrattenere i lettori in alcun modo, allora scrivi per te stesso. Evita d’illuderti — salvo rarissimi casi e la scommessa potrebbe costarti una vita di sacrifici priva di risultati.

È indubbio che “Il Codice Da Vinci” sia un’operazione commerciale e il valore artistico di quel romanzo sia praticamente nullo, ma nessuno vieta di elevare i contenuti e utilizzare le stesse tecniche, anche se edulcorate da un’intenzione più artistica.

Quello che ti sto dicendo è semplice: non chiuderti a soluzioni narrative commerciali, se queste ti permetteranno di vendere la tua arte. Se non la vendi, continuerai ad avere poco tempo per produrla e il primo a perdere sarai tu.

Sì?

Ci sono serie TV meravigliose, il cui valore artistico è indubbio. Nessuna è lenta e mette alla prova la capacità d’attenzione degli spettatori. Studia quello che gli anglosassoni chiamano storytelling.

Se capisci che anche tu puoi produrre narrativa fast-paced e non per questo svilire i tuoi contenuti e la tua arte, sei già molto più avanti di tanti aspiranti scrittori che si ostinano a non capire che l’artista maledetto non esiste.

E se esiste è maledetto, per l’appunto, ovvero continuerà a lavorare in un ufficio fino alla pensione.

 


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