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26 Novembre 2020
L
a vita a volte ti sbarra la strada con una catena montuosa.
L’ostacolo appare insormontabile, vero, ma non tutti reagiscono allo stesso modo. C’è chi si fissa sulle nevi perenni e pensa a passi invalicabili, dannandosi l’anima. E chi, invece, sa che le montagne sono la ragione per cui esistono le valli.
La vita è un po’ stronza a importi simili sfide. Invero lo fa per il tuo bene. Le montagne hanno una funzione equilibratrice. Ti ricordano che sei piccolo e transitorio.
Prendere coscienza delle tue dimensioni ti rende invincibile. Scoprirlo è liberatorio, infatti. Se sai chi sei, sei consapevole dei tuoi limiti. Fai ciò che puoi e ti basta.
Le nostre frustrazioni sono spesso proporzionali alle nostre presunzioni. Nel mio caso lo erano ed ero parecchio frustrato. A volte presumo ancora.
Ecco, vedi, in quest’ottica un passato tormentoso è soltanto una prospettiva errata. Non è reale. È solo che la vetta ti sembrava a portata di mano, mentre non lo era. A forza di fissarla ti sei dimenticato della valle.
È facile ingannarsi, non devi arrivare a un passo dalla vetta. A volte basta vederla da lontano per credere di poter scalare a mani nude l’Annapurna indossando un pigiama.
Il talento senza misura è una corsa a perdifiato il cui unico traguardo è sprecare la tua vita.
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Un flashback
Il mio ultimo romanzo era un flop.
Il seguito che avevo immaginato non avrebbe mai visto la luce. Il prosieguo della mia gloriosa carriera da romanziere, che avevo sognato a occhi aperti per lungo tempo, non esisteva.
Puff! Anni di fansticherie evaporati come neve al sole.
Quando pubblichi con uno dei più grandi gruppi editoriali del tuo Paese, però, il tempo si dilata. Aspetti e aspetti ancora. Prima di veder confermati i miei pessimistici sospetti passò più di un anno.
Non sono mai stato uno che si dice menzogne, però. Sapevo d’aver fallito.
“E adesso?” Mi ero perso e mi guardavo all’intorno confuso. Fragile.
Mentre mi chiedevo cosa ne sarebbe stato del mio sogno, scrivevo il seguito del flop. Poco a poco passai dalla corsa convinta a una camminata caparbia. Come un maratoneta che calcola male il passo e finisce per sfiancarsi.
Fu un lento piegarsi verso terra, finché mi ritrovai a strisciare.
Datemi. Un po’. D’acqua.
Niente, nemmeno un po’ di pioggia. Come diceva Sting in una canzone: “Heavy clouds. No rain.”
La rinuncia fu improvvisa. Lasciai un capitolo orfano della sua ultima scena. Poverino. Una scena difficile da scrivere, perché era una battaglia atipica. Quale miglior metafora per il codardo che ero?
Non avevo alcuna voglia di farmi ammazzare, così mi suicidai – artisticamente. Semplicemente fissai lo schermo e mi fermai.
Il Presente
Quindici anni dopo ho scritto quella scena e chiuso il capitolo. Aggiungo: poffarbacco, è stato facile! Sorprendente.
Uno scrittore in crisi osserva con preoccupazione catene montuose da valicare. “Uhm. Sicuramente il passo sarà ghiacciato, i venti violenti, le temperature proibitive… Sono pronto?”
La domanda resta sempre senza risposta, perché dubita. Il dubbio è un indicatore. Ti risponde: “No, non sei pronto.”
Superata la crisi personale, lo stesso scrittore si trova di fronte una carrettiera piana che attraversa una bellissima valle soleggiata. Le rondini fanno primavera, gli uccellini cantano. La meraviglia lo conquista.
Poi ricorda il proprio vissuto e il dubbio lo saluta da lontano: “Tutto qui?” si chiede. Eppure la tempesta è passata, sicché si risponde: “Sì, ragazzo, chi sei dentro crea le minacce esterne. Ora lo sai. Ti sei guardato dentro per davvero, hai curato le tue ferite. Ora va’. Vivi.”
Un attraversamento impossibile diventa una passeggiata.
“Un vero scrittore mette in dubbio tutto, a parte la propria capacità di risolvere i dubbi.”
Il futuro
Non so quante volte ho rimuginato su quella scena.
Mi preoccupava. I fallimenti lasciano cicatrici in chiunque. Ogni tanto il tempo cambia e si gonfiano, la pelle che le circonda diventa sensibile. Il ricordo ti spinge a rallentare prima di esserne consapevole.
I ricordi sono bugiardi, però. Provano a stregarti, a fuorviarti, usano la lente d’ingrandimento del tempo per far apparire l’ostacolo più grande di quello che è.
Rimuginare sulla stessa scena l’aveva trasformata in un leviatano.
Del resto capita di prendere cantonate tremente quando si gioca a prevedere il futuro. Non ha alcun senso star lì a calcolare ciò che accadrà. Di rado s’indovina e, se capita, è un caso.
Se stai bene, affronti la vita di petto. Te ne freghi di prevederla.
Come da pianificazione, in questi giorni ho raggiunto il leviatano. L’ostacolo che in passato m’aveva fermato, il drago pronto a incenerirmi che spalancava le fauci.
Sono stato a tu per tu col futuro che aveva promesso di divorarmi.
“È soltanto un romanzo, Andrea”, mi son detto. Ho riletto quanto avevo previsto e immaginato per ben quindici anni. Ho indossato le cuffie, fatto partire la musica epica. Ho scritto.
Dopo quindici anni immaginando la stessa scena, ho scritto una cosa completamente diversa.
“Ma…?” mi son chiesto, basito, mentre rileggevo. Ho sorriso. Uno dei sorrisi più liberatori che ricordi.
“Esatto. Anche la scrittura bisogna viverla.”
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All’estro non si comanda. Non importa quanto tempo si dà al pensiero di pianificare. Quindici anni di pianificazione andati in fumo in mezz’ora dovrebbero essere sufficienti a dimostrarlo.
La sequenza che m’è uscita dalle dita è stranissima. La prospettiva imprevista in ogni suo aspetto. Sono soddisfatto? Non posso lamentarmi. Ho valicato la catena montuosa passeggiando, comodamente seduto a casa mia, in pigiama.
In fondo le montagne creano valli.