Incipit

Se cercate nei vocabolari della lingua italiana il termine “incipit” troverete varie versioni di quanto segue: le parole iniziali di un testo (oltre alle altre accezioni). Ovvero i vocabolari non vi chiariranno un bel nulla. Di contro i corsi di scrittura creativa in genere gli attribuiranno più importanza di quella che ha.

Capiamoci: l’incipit è importante, ma è necessario affrontarlo con equilibrio perché vi aiuti a catturare un lettore. In un romanzo tutto è importante e considerare qualcosa “più importante” è approssimarsi pericolosamente a una logica commerciale.

Per parlarvene vi propongo un gioco letterario.

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Esistono differenti approcci a una storia e sono conseguenza della storia stessa, dello stile adottato, del tono scelto, del punto di vista e anche della personalità dell’autore. Un incipit è ovviamente influenzato dal quando e dal dove. Dico una banalità scrivendo che un conto è cominciare dall’inizio della vicenda, un conto è cominciare in media res, un conto dalla fine. Ciò detto, la maggior parte degli scrittori attacca in modo istintivo. Riflettere su come cominciare e come narrare la storia che si ha in mente non è studiare a priori le parole stesse dell’incipit, infatti. Non funziona così, anche se troppo spesso si tenta d’inscatolare la creatività (“scrittura creativa”, ricordate?).

Ebbene, contesto con tutto me stesso quest’impostazione. La tendenza a riempire di processi mentali ciò che invece deve essere un atto genuino e libero – la prima stesura – è il primo, grosso problema che ho con i corsi di scrittura creativa. La mente stronca l’estro, gli taglia le gambe, gli tarpa le ali, lo soffoca, lo annichilisce… Mi sono spiegato?

Sì, anche io ho costruit metodica attorno alla mia scrittura e sono uno scrittore molto organizzato e un pianificatore. Ma ho sempre considerato la prima stesura sacra e intoccabile, impossibile da irregimentare se non castrandola a tal punto da renderla un mero esercizio di stile, cosa che non ha nulla a che fare con la letteratura (e ho creato il metodo tenendolo bene a mente). L’incipit è il primo mattone che sancisce la superiorità della libertà creativa rispetto a tutto il resto. Ideazione, revisione, rilettura, riscrittura… son tutti aspetti soggiacenti il tempo della scrittura vero e proprio, che è la prima stesura.

Uno scrittore pensa all’inizio della vicenda, sa quale sarà il tono e lo stile, poi semplicemente scrive il primo paragrafo, poi il secondo, il terzo… e così via, finché il primo capitolo – o il prologo – è scritto. Soltanto poi analizza e migliora l’incipit. Poi, poi e poi.

Ricordatevelo.

Ho “visto” troppe volte aspiranti scrittori incartarsi perché tutti proni nell’applicare con diligenza quanto avevano imparato frequentando corsi o leggendo articoli sulla scrittura o dopo aver affrontato discussioni in forum online in cui partecipavano persone più esperte. Le regole sono fatte per essere applicate dopo. L’esperienza è esattamente questo: riuscire ad applicare la maggior parte delle regole senza star lì a pensarci, senza rendersene davvero conto e, soprattutto, senza rallentare il flusso libero e selvaggio delle parole che confluiscono sulla “carta”.

Se un’arte diventa un mero esercizio di applicazione di regole alla creatività, allora l’arte muore e resta soltanto il mestiere. Pensateci, ad esempio quando leggete qualche critica che parla di “mestierante” e di “scrittore / artista”, perché la differenza è tutta lì, per dirla terra terra. (Poi si può disquisire all’infinito in dettaglio…)

Partendo da quanto avete appena letto, passo al gioco letterario che vi annunciavo: è un’attività rivelatoria. Se siete iscritti e mi leggete, non è possibile non abbiate un po’ di romanzi in casa. Prendete dalla libreria (o da dove sono sistemati, ché i libri stanno bene ovunque!) i vostri preferiti e scrivete in un documento i loro incipit. Poi leggeteli tutti assieme.

Ora, sia chiaro, vi parlo dell’incipit nell’incipit. Del primo paragrafo, quando invece si dovrebbe considerare la parte iniziale del testo che risulti “compiuta”. Se un romanzo parte da un dialogo diretto, la prima battuta non può essere considerata un incipit, perché è difficile dica quanto è necessario (può dire molto lo stesso: «Mi dispiace, ma ora morirai» ad esempio dice abbastanza! Altra cosa è «Come stai?», vero?).

Comincio per primo qui di seguito, limitandomi a meno testo possibile di proposito. Vi spiego subito il perché: con il solo primo paragrafo si capisce l’approccio dello scrittore. La prende alla larga? La prende diretta? Vi mette in media res? È descrittivo? O c’è azione? Consideratevi indovini e guardate al primo, primissimo paragrafo come al palmo della mano di chi dovete “leggere”.

Quando li avete trascritti tutti (almeno 5 o 6), leggeteli con attenzione più volte, finché li avete bene in mente e riuscite a farvi un’idea sommaria delle differenze. Poi annotate le vostre riflessioni sotto ognuno dei brani, così come faccio io qui di seguito.

Ricordatevi sempre, specie nei momenti di difficoltà, che non esiste alcun corso di scrittura creativa migliore della lettura. Quindi leggete tanto e imparate ad analizzare quanto leggete a posteriori.

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Quando il signor Biblo Baggins di Casa Baggins annunziò che avrebbe presto festeggiato il suo centoundicesimo compleanno con una festa sontuosissima, tutta Hobbiville si mise in agitazione.

– Il Signore degli Anelli, J.R.R. Tolkien.

Tre righe tre, ma Tolkien già ci dice che Bilbo compirà 111 anni, che per l’occasione organizzerà una grande festa e che l’intera città è all’aspettativa. È l’inizio del Signore degli Anelli, Il romanzo Fantasy per antonomasia. Eppure comincia con qualcosa di mondano e tutt’altro che magico. Di strano c’è soltanto l’età del signor Biblo Baggins. Parte, cioè, dalla parte gradevole: dalle campagne, dalla vita rurale e semplice, godereccia e pacifica degli Hobbit. Non è un caso: mostra la bellezza di ciò per cui i protagonisti lotteranno e ne mostra la natura tutt’altro che avventurosa, per contrasto, per dare ancor più forza a ciò che viene dopo. Ovvero renderà ancor più drammatico il racconto. Inoltre a fine romanzo tornerà nella Contea, mostrando a cosa porta la guerra.

È semplicemente perfetto.

Non è un “in media res”, piuttosto è un inizio.

Nella settimana prima della partenza per Arrakis, quando il tramenio era giunto a livelli quasi insopportabili, una donna vecchia e vizza si presentò alla madre di Paul.

Dune, Frank Herbert.

Perfetto esempio di “in media res”. Herbert gioca con un “in media res di un in media res”: la vecchia vizza si presenta nel bel mezzo di un trasloco della famiglia Arrakis. Il succo di un incipit così è creare subito curiosità nel lettore e, come la buona scrittura insegna, per riuscirvi necessita di poche parole. Cosa vorrà questa vecchia? E chi sono gli Arrakis? E Paul?

Benché suo padre avesse immaginato per lui un brillante avvenire nell’esercito, Hervé Joncour aveva finito per guadagnarsi da vivere con un mestiere insolito, cui non era estraneo, per singolare ironia, un tratto a tal punto amabile da tradire una vaga intonazione femminile.

Per vivere, Hervé Joncour comprava e vendeva bachi da seta.

Seta, Alessandro Baricco.

Baricco ha sempre giocato molto con i contrasti logici e la sua tendenza si conferma in “Seta” – uno dei suoi migliori romanzi, anche se i miei preferiti sono “Oceano mare” e “Castelli di rabbia”. Qui presenta un personaggio il cui padre voleva diventasse un militare e che finisce per lavorare commerciando bachi da seta, una cosa abbastanza distante dalle armi da fuoco.

Come sempre accade, con Baricco dovete leggere un po’ di più perché abbiate elementi sufficienti a essere avvinti al testo.

È un approccio “alla larga”.

Arriviamo dalla Grande Città. Abbiamo viaggiato tutta la notte. Nostra Madre ha gli occhi arrossati. Porta una grossa scatola di cartone, e noi due una piccola valigia a testa con i nostri vestiti, più il grosso dizionario di nostro Padre, che ci passiamo quando abbiamo le braccia stanche.

Tilogia della città di K, Agota Kristof.

Grandissima scrittrice, dotata di una sintesi cristallina e implacabile, che emerge prepotente sin dalle battute iniziali di questo capolavoro. Frasi corte e secche. In poche righe inquadra l’ambientazione (l’inquadra soltanto, ma è sufficiente), inserisce movimento col viaggio e il punto di vista dei figli, la cui madre è stanca o ha pianto, non si sa. Qualcosa. E l’autore infila un dizionario, che evidentemente è importante, dato che nonostante il peso se lo portano appresso. Lo stile della Kristof è unico e inimitabile, nonché tra i più personali che conosca. E lo adoro.

Anche lei sceglie l’“in media res”.

All’ora del caldo tramonto primaverile comparvero a Patriaršie Prudì due signori. Uno, sui quaranta, vestito di un completo estivo grigio, era di statura piccola, bruno, grassoccio, calvo; teneva in mano, piegato, il cappello di buon feltro e il suo viso era ornato di un enorme paio d’occhiali di corno nero. Il secondo, largo di spalle, coi capelli ricchi e rossicci, un berretto portato indietro sulla nuca, indossava una camicia sportiva, pantaloni bianchi spiegazzati e sandali neri.

Il maestro e Margherita, Michail A. Bulgakov.

È un classico non a caso. Si nota subito, oltre tutto. L’approccio è tutt’altro che contemporaneo. Una mera descrizione di due personaggi, dettagliata, precisa, acuta… e con un sacco di aggettivi! Si capisce subito che Bulgakov vede i dettagli delle proprie storie e pretende che li veda anche il lettore. Infila il tempo e la stagione all’inizio e confronta due uomini e il loro rispettivo stile. Adorabile. E sicuramente si ha voglia di saperne di più: chi sono? Perché sono così diversi?

Tuttavia non si capisce se è un inizio o un “in media res”, cosa che comunica una scrittura d’altri tempi: elegante, godibilisissima, ma meno diretta della contemporanea.

Esco per portare alla iena i biscotti secchi e le carcasse di pollo, e per cercare di dare una pulita dopo l’ultima tempesta, e lei mi chiama. Andrea. Andrea Knowles Cotton Tierwalter, la mia ex moglie, la mia ex moglie di mille anni fa, quando ero giovane, forte e implacabilmente virile, la donna che si incatenava alle gru, ai bulldozer e alle ruspe Feller Buncher da settecentomila dollari quando ancora pensavamo che fosse importante, la donna che mi ha aiutato ad allevare mia figlia, che mi ha fatto impazzire. Gesù. Se proprio deve farsi vivo qualcuno, perché non Teo? Sarebbe più facile – lo ammazzerei e basta. Bang bang. Così Lily avrebbe qualcosa di più del pollo, a cena.

Amico della terra, T. Coraghessan Boyle.

Coraghessan Boyle ha deciso per un racconto in prima persona e, proprio perché tale, inizia a tratteggiare subito la personalità del protagonista. In un solo paragrafo dà un sacco d’informazione iniziale senza scadere nella lista della spesa. Il cane è una “iena”, la moglie con cui preferisce non parlare, con cui ha avuto una figlia, per cui ha sofferto le pene dell’inferno e con cui ha affrontato sterili battaglie da ecologista. E parla subito di un’ultima tempesta: che succede al clima? Per un primo paragrafo è molto.

È un “in media res” bell’e buono.

Salirono l’ennesimo tratto impervio della via montana. A destra la parete rocciosa s’innalzava, scoscesa; la pietra scura era punteggiata da pini mughi e da qualche raro ciuffo d’erba. Sull’altro lato, lo strapiombo sembrava chiamarli dalle sue profondità brumose. Era un invito suadente, subdolo. Accettare sarebbe stato come liberarsi da una maledizione.

La Rocca dei Silenzi, Andrea D’Angelo.

Questo è l’incipit del mio ultimo romanzo pubblicato e si trova in compagnia di chi non si merita, direi. Parto in modo descrittivo, parlando di più protagonisti senza nominarli. E con l’ultima frase introduco un elemento di disturbo: di quale maledizione parla l’autore? Dev’essere qualcosa di orribile se il suicidio li tenta. Lo stile è un po’ secco, ma nel contempo non lesina dettagli.

È vagamente “in media res”.

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Torniamo al punto di partenza: esiste un altro motivo che mi porta ad affermare che la teoria dei corsi di scrittura creativa sia eccessiva e sbilanciata. Lo considero importante quanto non intralciare il passo della creatività con “troppa mente”. In un romanzo sarebbe bene capire che ogni scena ha il suo incipit e tutti dovrebbero essere scritti in modo da suscitare la curiosità del lettore, affinché continui a leggere – fino alla fine della scena, per l’appunto..

Certo, il vero incipit – considerando non soltanto il primo paragrafo, ma l’intero brano iniziale – è importantissimo. È la storia che si presenta, non soltanto la continuazione della storia che ammicca al lettore per rendersi interessante, cosa che una scena è. Eppure a livello tecnico e d’intenzione lo scrittore deve impegnarsi allo stesso modo e rendere qualsiasi nuova scena altrettanto interessante. Sottolineare, evidenziare e quasi “gridare” circa l’importanza dell’incipit significa fuorviare gli aspiranti scrittori.

Quando entrerete in libreria, dopo che avrete giocato coi vostri romanzi a casa, così come ho fatto io, non sarà più la stessa cosa (sempre che non lo facciate già). Quando prendete in mano i volumi, mentre state decidendo quale leggerete (“comprerete” no, ché è soltanto una transazione economica di poca o nulla importanza), apriteli e leggetevi il primo paragrafo e fermatevi: cosa vi comunica? Qual è lo stile? Vi piace? Il primo paragrafo dice sempre molto circa l’autore – ma, certo, può promettere molto e illudere, specie se lo scrittore ha dato troppa importanza all’incipit rispetto al resto del testo.

Spero questa digressione vi risulti più utile dei soliti discorsetti sulla tecnica e su cosa “si deve fare” per avvincere il lettore. Non sopporto l’approccio cattedrattico, amo l’approccio da lettore. Come già avevo modo di dire, la prima cosa che uno scrittore dev’essere è “lettore forte”. Quindi leggete e, se proprio volete imparare in fretta a scrivere meglio, analizzate i romanzi che leggete – quelli belli e quelli brutti: tutti insegnano.

Alla prossima. Non ho la più pallida idea di cosa vi scriverò: se vi piacerebbe che parli di qualcosa di preciso, non dovete far altro che scrivermi e suggerirmelo.

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