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4 Aprile 2021
Come ho scritto in questo articolo (inglese), la semplificazione è fondamentale per raggiungere i propri obiettivi, specie vivendo la frenesia che la nostra società impone.
Alcuni giorni fa ho scritto quest’altro articolo che parla del modo in cui io calcolo la deadline e di cosa devo fare per riuscire a rispettarla. Riassunto del riassunto: 2.250 parole al giorno per finire la stesura del mio prossimo romanzo il 18 maggio 2021.
Ecco. Semplice vero? No, non è affatto semplice.
Imporre una quotidianità alla quotidianità non è sufficiente. Quello era un calcolo, la realtà è un’altra cosa. Ho cominciato e, proprio perché ho esperienza e so quanto valga la costanza in scrittura, nonché l’abnegazione nella vita, ho seguito il calcolo. Tuttavia ho anche cercato di superarlo. In fondo non sono tabelline o equazioni: è scrittura! Non è che si possa star tanto lì a far quadrare il cerchio. Infatti, come dichiarato, il calcolo è approssimativo e ha natura indicativa, non tassativa.
Insomma, è per darmi un ritmo, non per essere precisi.
Eppure già dopo pochi giorni questo modo di procedere, tipicamente anglosassone, ha cominciato a starmi stretto. Necessito di più libertà e di fluire in modo naturale. La mia produttività è sempre soggetta e sottoposta al flusso interiore. Sempre.
Se credi io metta troppa mente nella mia arte, sei fuori strada. Puoi per esempio leggere quest’altro articolo (inglese), in cui spiego come scrivo. Uso il flusso assoluto, come l’ho chiamato: respiro all’interno di una bolla di tenebra e mi annullo, non esisto.
Nel contesto di questo scritto, però, cosa significa che necessito di fluire in modo naturale? Semplice, che ci saranno giorni in cui scriverò “solamente” mille parole e altri in cui supererò le quattromila (o più). Non dipende soltanto dagli impegni, dipende dalla scrittura vera e propria.
La scrittura è viva e mutevole.
Ad esempio, ieri ho scritto 4.770 parole. Tante, vero? Sbagliato, ho avuto quasi tutto il giorno per scrivere. In quel numero non si legge che ho scoperto due incongruenze importanti nella storia che stavo raccontando e che sono andato ad aggiungere del testo a un vecchio capitolo per eliminare la prima. Il fatto, fonte di controlli incrociati, mi sarà costato un paio d’ore. Quante parole ho scritto in quelle due ore? 220.
La seconda incongruenza m’è costata un altro po’ di riflessione. Diciamo mezz’ora, che non è poco. Alla fine ho preso un’altra decisione e ho cambiato tre parole. Esatto: 3.
In aggiunta sempre ieri ho sistemato il mio canovaccio – che non detta legge, ma dirige la storia; nel senso che le dà una direzione – spostando in un nuovo documento tutte le parti che ho deciso di escludere, affinché potessi consultarlo senza intoppi visivi. Ero un po’ stufo di scorrere il documento e ignorare le parti in grigio. Altro tempo è andato.
La scrittura è molte cose, quando si tratta di un romanzo di tal fatta.
Eppoi c’è anche la questione fisica. Se mi segui da un po’, sai che il mio pallino è la natura olistica della scrittura. A un certo punto mi son sentito un po’ lento, ad esempio. Era il momento di alzarmi dalla sedia per più dei canonici cinque minuti del metodo pomodoro. Ho chiamato Oto e sono andato a camminare nel bosco; due ore.
Ieri avrei potuto scrivere 10.000 parole, ma ne ho scritte 4.770. Quindi è stato un fallimento? Nient’affatto! Sono avanzato di 4.770 parole alla volta della frase conclusiva del romanzo. Non lo so quante parole saranno alla fine, ma altre 4.770 esistono da ieri.
Ecco, forse ti starai chiedendo: ma questo qui è completamente fuso? Pensa alla quantità di parole e non a quello che scrive!
Perfetto.
È questo il punto della semplificazione di cui ti parlo oggi. Un conto è misurarsi, darsi un ritmo per non finire alle calende greche, altra cosa è esprimersi in modo artistico.
Le 4.770 parole di ieri sono un freddo numero, che non parlano di una scena che ancora stamani, quando la ripenso, mi viene la pelle d’oca. Perché io ero lì, ho visto. Ho vissuto! Sono testimone oculare. Quei drammatici accadimenti sono parte di me, oggi. L’altroieri non ne sapevo nulla. E le scene scritte ieri sono più d’una… Ripetere ad libitum.
Posso alzare mille impalcature attorno alla mia scrittura, per supportarla e lavorarla meglio, ma quello che alla fine resta è la scrittura. Le impalcature alla fine non le vede nessuno.
Ti racconto delle impalcature perché la storia non te la posso raccontare. Non oggi, non prima che sia finita. Quando lo sarà, saprai giudicare tu per te stesso cos’ho scritto e se ti piace. Non sarà più affar mio: la scrittura si partorisce, si cresce, si educa e infine la si lascia camminare per il mondo con le proprie gambe.
Tutto il resto è un gioco. L’unica cosa seria è la storia.
Le 2.250 parole di media restano il ritmo a cui idealmente devo procedere per finire il 18 maggio 2021 – e quella data sì che è impressa nella mia memoria. Eppure ieri, proprio durante quelle due ore di cammino nel bosco, perché la scrittura è olistica, ho accantonato la logica. Da oggi ne uso un’altra, molto più semplice e naturale.
Un capitolo ogni quattro giorni. Punto.
Cosa cambia? Se il metro è l’avanzare dei capitoli, non sono più legato ad alcun numero di parole. Un capitolo può venire più o meno lungo, l’importante è che dica quello che deve dire.
Così se un giorno non ho tempo di scrivere, il giorno seguente scriverò di più. A volte finirò un capitolo in cinque o magari sei giorni. Altre volte finirò prima, guadagnando un giorno, magari due.
Il risultato finale è che rispetterò quel 18 maggio 2021, anche se sarà il 27 maggio. Ha importanza? Nove giorni in più per un romanzo di 1.100 pagine sarebbero un’iniezia. Di questo ti sto parlando: di lasciarsi fluire, ma d’incanalare le proprie energie, non disperderle.
La disciplina è fondamentale nella vita, se si vogliono ottenere risultati. Eppure, non farmi torto. Non pensare io sia mente, quando invece sono un cuore palpitante che si dimentica di sé stesso mentre racconta.
Nonostante ami giocare con questi calcoli, perché sono una scusa per indugiare sull’arte stessa, non posso ostacolare il flusso artistico che presuppone la prima (e seconda) stesura di un romanzo, né la revisione, che è sublimazione estetica, e nemmeno la rilettura ad alta voce, che è calarsi nella parte del bardo.
L’arte viene sempre prima.