· ★ ·
3 Febbraio 2021
È proprio bizzarro effettuare l’ultima revisione di un testo scritto in cinque, sofferti anni con un tale distacco. Mi ci sono voluti dieci anni per riprenderlo in mano senza sentirmi male o inadeguato.
Non più tardi di qualche mese fa non ce la facevo ancora. Poi qualcosa è cambiato. Cosa? Non lo so. Forse è una vaga idea d’imminenza che mi solletica o la sensazione che sia ora di chiudere col passato, senza rinnegare quanto di buono feci.
In fondo “Senzanome” se lo merita. È un bel romanzo, ha molte carte in regola, se non tutte. Un tempo lo consideravo il mio biglietto da visita per un viaggio a più ampio respiro nella narrativa. Oggi lo considero caro e, in fondo, è forse il testo che meglio mi rappresenta.
Be’, certo, rappresenta il me di dieci anni fa. Sono cambiato ancora, attraversando una depressione e riemergendo più forte di prima, dopo essermi scoperto più debole di tutti.
In fondo, e forse dipende anche da questo, quando una pandemia impaurisce il mondo intero e tu sai che il tuo romanzo del mondo parla, quale miglior scusa per viaggiare?
Poi ti osservi allo specchio e capisci che c’è qualcosa di più, che quella è soltanto la superficie. Non è soltanto il viaggio, cosa che la scrittura è. È il fatto che sei pieno di capelli bianchi. Il tempo sta passando e sei proprio stanco di star lì a pensare di non essere all’altezza. Capisci che quei pensieri denigranti non hanno più alcuna importanza, sono morti.
All’altezza di cosa? Qual è il metro? Come si giudica una persona o uno scrittore? Basta un testo per definirmi? Perché ho creduto per così tanto tempo in un’artefatta menzogna?
Così eccomi qui, a tu per tu con “Senzanome“. Con mia grande sorpresa procedo che è un piacere e con piacere. Ho ritrovato la gioia del raccontare, del cesellare un testo e donargli il suono e il ritmo che echeggiano dentro di me. Con precisione, con chiarezza.
Ho ricominciato a divertirmi.
Scrivo per amore della scrittura.
Come lo so? Semplice, sento che conta soltanto il racconto. Tutto il resto esiste, ma è un sottofondo flebile, secondario. Non m’interessano gli editori, non m’interessano i lettori, se intesi come quella massa informe che uno scrittore dovrebbe conquistare. Non m’interessano nemmeno gli altri scrittori.
Di fronte alla pagina, con trent’anni e rotti in più, c’è di nuovo quell’adolescente che sognava a occhi aperti e pensava solo e soltanto al giorno in cui sarebbe diventato uno scrittore, perché ancora non sapeva che scrittori si è. Quel ragazzo che scriveva e viveva il raccontare; e tutto il resto era lontano.
Sono di nuovo me stesso, libero dal giogo di qualsiasi cosa trascenda la mia immaginazione. Scrivere è raccontarsi una storia con amore e gentilezza. Volersi bene e denudarsi per ciò che si è.
Non esiste uno scritto inutile se è lo specchio di chi lo scrive.
“Senzanome” è lo specchio di chi ero, con un pizzico di chi sono. Avrà le gambe lunghe e forti? Viaggerà lontano? Non lo so e in questo momento non m’interessa. Ci penserò dopo. So solo che lo sto cullando con la tenerezza che si merita, dopo tanta ritrosia e amarezza. Lo so, perché quando sarà completato, tra qualche settimana, lo lascerò libero di andare per la sua strada.
Liberandomi.