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14 Giugno 2021
Dopo dieci anni in cui ho provato a stare lontano dalla scrittura, infliggendomi una tortura priva di senso, ho ricominciato a scrivere e ho scoperto che non avevo capito nulla.
Mi consideravo un pianificatore e credevo perfetto il mio metodo di scrittura. Tanto mi ero convinto di quest’enorme menzogna, che nel 2018 ripresi il cammino partendo dalla stessa.
Di diverso c’era la mia consapevolezza: se non scrivo, muoio dentro. Quando uno scrittore non scrive, finisce per non capirci più nulla. Si perde. Questa chiarezza è ciò che la depressione mi ha donato. È la verità fondamentale grazie a cui la mia rinascita espressiva è stata possibile.
Ebbene, faccio piazza pulita della bugia. Oggi appare lampante, infatti, dopo aver completato il mio romanzo più ambizioso e ripreso quello che avevo lasciato a metà, di fatto scrivendo nuovo testo dopo oltre tre lustri.
Quando ci si accorge di mentire, è saggio riappropriarsi della verità.
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Il pianificatore è una leggenda
Siamo tutti pantsters. Non importa quanto pianifichi, prima o poi devi dar carta bianca all’estro per esprimere ciò che hai nel profondo.
La preparazione
Il modo in cui affronto i miei romanzi è presto detto.
- Mi racconto per iscritto la vicenda.
- La rileggo, rivedo ed espando – aggiungo note e dettaglio.
- Creo le schede dei personaggi, rifletto sull’ambientazione e redigo qualsiasi cosa necessiti la storia che ho deciso di raccontare – ad esempio, una lista dei punti da approfondire studiando.
- Suddivido il testo ottenuto in “fronti d’azione” (sottotrame).
- Divido le sottotrame in capitoli (accorpando tranci di storia che abbiano un senso compiuto).
- Divido i capitoli in scene.
Fin qui direi che appaio come un gran pianificatore, vero? Ecco. Lo pensavo anch’io. Tuttavia l’apparenza inganna. Per questo parlo di “preparazione” e non più di “pianificazione”.
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Questo è il punto in cui il percorso odierno differisce da quello del passato. La prima stesura è un bivio. È il momento in cui lo scrittore può dimostrarsi più o meno cerebrale.
Ciò che facevo ieri
Quello che facevo in passato era molto semplice. Ben consapevole del fatto che anche l’estro vuole la sua parte, prima di scrivere una scena preparavo quella che chiamavo “focalizzazione”. Elencavo alcuni punti fondamentali che dovevano essere inclusi. Tutto il resto era stile libero.
Ad esempio, decidevo che il personaggio Andrea morisse e, secondo punto, che il suo corpo sparisse. Come i due fatti avvenivano, non aveva alcuna importanza.
La mia idea era quella di non perdere la bussola, ma di concedermi comunque un ampio margine creativo.
Cosa faccio oggi
Spedito il mio ultimo romanzo ai migliori editori italiani, negli ultimi due mesi ho ripreso a scrivere il romanzo che lasciai a metà, come già detto. L’impostazione del lavoro è quella succitata, perché ideai la storia nel 2006.
Comincio a scrivere nuovo testo. La prima decisione che prendo, in modo leggero, senza star tanto lì a pensare, è di non scrivere alcuna “focalizzazione”.
Ho già la descrizione sommaria della scena, infatti. Perché complicare il flusso di lavoro? Mi dico che è inutile. Le cose che mi importa capire sono altre e ben più importanti:
- Sono ancora in grado di narrare?
- Ho ancora voglia di scrivere romanzi?
Così distratto da questioni basilari, comincio. Faccio molta fatica. Sono ossidato, lento, a tratti impacciato. Così vado spesso a camminare nel bosco, perché mi aiuta a schiarirmi le idee. Dopo un paio d’ore di camminata torno alla scrivania con una mente libera delle tossine del dubbio. Sempre.
Grazie alla perseveranza – e alla testardaggine – ingrano. Termino un primo capitolo, poi termino il secondo, il terzo… E all’inizio del quarto mi fermo.
“Cosa succede?” mi chiedo, ormai conscio di non essere più lo stesso del 2006.
Qualcosa è cambiato. Delle prime venti, nuove scene che ho scritto, soltanto tre hanno rispettato quanto era previsto. Non solo, ma ne ho pure aggiunte di nuove. Nel complesso, capisco che oggi sono uno scrittore molto diverso da quello del 2006.
Mi chiedo come mai ci sono volute venti scene per rendermene conto. La risposta emerge all’istante: “Te ne sei accorto subito, ma pensavi che fosse dovuto a una nuova prospettiva su una vecchia storia.” Insomma, pensavo a una naturale evoluzione, già che son trascorsi quindici anni.
Invece no. Non è quello il punto: la storia va bene così com’è. Il succo del discorso è che non posso più limitare la mia creatività, quasi che avessi sviluppato degli anticorpi alle gabbie della logica.
Cerebrale vs. Passionale
Oggi so che uno dei problemi che mi costrinsero a una deriva autolesionista fu costringermi a scrivere usando una prospettiva cerebrale. I motivi che possono spingere a compiere un simile errore sono molti. Ne elenco alcuni:
- Privilegiare la produttività.
- Seguire pedissequamente un metodo, personale o meno.
- Rifiutarsi di perdere il controllo (per paura di essere giudicato o di scoprire cose spiacevoli sul proprio conto, eccetera)
- Seguire i consigli di qualche guru.
- Pensare alle regolette della “scrittura creativa”.
I motivi sono virtualamente infiniti. Ognuno di noi è un mondo a sé stante. La scrittura è nostra diretta espressione e, come tale, subisce l’influenza della nostra prospettiva.
La soluzione è togliersi di dosso qualsiasi impedimento. Ovvero, lasciarsi fluire, permettere alla propria essenza di esprimersi liberamente.
Sembra più facile a dirsi che a farsi. Eppure esiste una Stella Polare che può guidarti attraverso le difficoltà. Qualsiasi sia il problema che ti affligge, la soluzione è soggetta a una e una sola regola:
- Divertirsi (mentre si scrive)
Nel momento in cui percepisci che la cosa non ti diverte più, fermati e trova il modo di divertirti di nuovo. È fondamentale scrivere nel solco della gioia. Si scrive per passione, non per dovere.
Non soltanto non scrivo più “focalizzazioni”, ma considero il mio canovaccio una mera indicazione – in passato era la Legge. La preparazione mi fornisce una direzione da seguire, specie quando lo scritto è qualcosa di lungo e complesso come un romanzo è.
Tuttavia, non v’è chi non veda, si può avanzare nella direzione voluta anche facendo zig-zag.
Divertiti o la noia ricadrà sul lettore
Non credo a chi mi dice che scrivere sia difficile, pesante, impegnativo. “È la cosa più dura che abbia mai fatto!” ha scritto qualcuno in un articolo.
Invece io amo il linguaggio, le lingue tutte, le parole. Amo perfino i segni che usiamo e combiniamo come se fossero formule magiche. Amo ogni fase della scrittura. Quindi, se mi pesa, significa che sto tradendo un mio genuino sentimento. Oppure che non provo quel sentimento.
E cosa si fa quando non si ama o non si ama più? Si lascia.
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Il segreto è ascoltarsi di continuo. Ad esempio, quando stai per scrivere una scena, se senti che non ne hai voglia, chiediti il perché.
A volte è una semplice questione di umore o, magari, è una scena difficile e ti costa cominciare. Allora concediti una riflessione: uno scrittore necessita di elasticità mentale e la creatività richiede soluzioni creative. Esiste sempre un modo per rendere meno gravoso un testo.
Altra cosa è, invece, se ti accorgi che ti stai annoiando mentre scrivi. Significa o che stai scrivendo qualcosa di noioso o che lo stai scrivendo in modo noioso.
Ancora una volta, fermati e rifletti. Va’ a farti una passeggiata. Così ho fatto io e, ogni volta, quando son tornato di fronte allo schermo, ho scritto cose molto diverse rispetto a quelle che avevo previsto. L’ho fatto con gioia e un motivo ci sarà.
Il mondo non è né bianco né nero; è un infinito susseguirsi di sfumature. Ciò che scrivi è un riflesso di ciò che vedi. Quindi è fondamentale non fossilizzarsi su un’idea, non irrigidire la prospettiva. È saggio essere aperti al cambiamento anche in scrittura. Non ha alcuna importanza che si è fatto così per anni, come nel mio caso.
Liberati dalla noia e non pretendere d’intrattenere i lettori se il primo ad annoiarsi sei tu. Se ti diverti, hai molte più probabilità di divertire. Se ti appassioni, potresti appassionare. Se ti lasci andare, forse prenderai per mano il lettore e lo porterai con te.
O forse no, ma ti assicuro che se scriverai annoiato, trascinandoti in modo pesante di scena in scena o se scriverai articoli con addosso una sensazione di condanna a morte, i tuoi lettori lo percepiranno e passeranno ad altro.
Non definire lo scrittore che sei. Definirti, come io feci, equivale a chiuderti in una scatola e non riuscire a esprimere il tuo potenziale.
La scatola esiste per proteggere il contenuto fino a quando quello non dev’essere utilizzato. Nessuno usa un oggetto dentro la scatola. La cosa vale per un gadget tecnologico, ad esempio, così come per qualsiasi cosa immateriale che possa essere limitata, etichettata, svilita.
Non inscatolare la tua creatività o la soffocherai. Non sei un pianificatore, non è nella nostra natura controllare la scrittura durante la prima stesura. Quella è follia; o immaturità artistica. Per applicare il mestiere esiste la revisione. Migliore è il materiale grezzo da rivedere, migliore sarà il risultato finale.
Plotter o panster sono etichette sterili. Mettiti sempre in discussione con in mente l’obettivo di divertirti. Sii te stesso e ti rallegrerai di chi sei.
1 commento su “Non definire lo scrittore che sei, divertiti invece”