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17 Febbraio 2021
Il primo vagito dell’ignoranza è spesso l’oblio. Il momento in cui una verità comprovata muore alla morte dell’ultima fiammella che l’alimentava.
Siamo tutti fiammelle e conteniamo verità, oltreché sogni e illusioni. Esprimiamo emozioni e sentimenti, ma siamo molto di più. Siamo scintille vitali, latori di generazioni di conoscenza ed esperienza.
Ognuno di noi può fare la differenza. E siamo tutti connessi.
Viviamo un’epoca decadente. O, forse, è soltanto la prospettiva di chi invecchia e s’intristisce nel vedere che i valori d’un tempo scivolano lentamente verso l’oblio. Mi dimeno, intellettualmente, e provo a indicarmi una via per non perdere di vista la mia Stella Polare: la letteratura speculativa.
C’è troppo disincanto, poco sogno e la meraviglia è ormai relegata a qualche rara perla creativa, che ci fa assaporare una qualità pressoché dimenticata, uno spessore che s’è ormai assottigliato a tal punto da essere prossimo a divenire cenere.
Dov’è finito il “sense of wonder”?
Perché non si specula più come si faceva un tempo e si guarda al futuro con timore, tutti schiacciati sul presente e sempre più incapaci di sollevare lo sguardo per scrutare l’orizzonte o le stelle, quasi ossessionati dal nostro ombelico o, quando va bene, dalla punta dei nostri piedi, che muovono passi incerti, spesso strascicati?
Cosa stiamo diventando? È pericoloso smettere d’immaginare proprio quando tutt’attorno la realtà ci ricorda che stiamo cadendo.
Non sarebbe meglio cadere a testa alta?
Magari potremmo cadere in piedi. Chi l’ha detto che il futuro non ci appartenga? Chi l’ha detto che non riusciremo a sovvertire un destino che sembra ormai segnato? Chi l’ha detto che questo sistema fallito e tutti i tumori che culla in grembo debba perdurare? E chi l’ha detto che cambiare sarebbe catastrofico?
Se ci fosse più fiducia, più sogno, più intenzione non ho dubbi che avremmo assai più probabilità di armonizzarci, riequilibrarci, vincere sfide che oggi appaiono impossibili.
La letteratura di genere
La letteratura di genere ha sempre avuto un ruolo importante negli ultimi decenni, sospingendo i più visionari, alimentando scoperte scientifiche, filosofie, rivoluzioni politiche e riflessioni di civiltà.
Gli scrittori hanno un compito importante, che è quello di denunciare le storture, indicare un cammino auspicabile, riflettere su possibili soluzioni o anche, più umilmente, alzare la voce del popolo che chiede una riflessione seria e profonda, che dia soluzioni ai problemi più sentiti e pressanti.
Abbiamo di fronte sfide importantissime. Quella ambientale, quella sociale, quella economica, quella politica. Tutte sfide che nascono da crisi profonde: il riscaldamento globale, che a sua volta costringe popoli a migrare, milioni di persone in cerca di un futuro migliore che scatenano il razzismo di chi vuole mantenere i privilegi rubati, mentre un sistema economico è fallito e non fa altro che prolungare la propria agonia stampando sempre più denaro, alimentato da un Establishment mondiale che è il più imbarazzante che io riesca a ricordare, nel suo complesso, incapace di ammettere alcunché, sin troppo spesso si arroga il diritto di negare mentre si fa costruire bunker in Nuova Zelanda.
Anche le mosche bianche sono a rischio estinzione.
Frattanto la letteratura di genere si adegua, perché le crisi non vengono mai da sole. Di solito si muovono come battaglioni. È un’epoca decadente e quando una civiltà decade le crepe si vedono un po’ ovunque si guardi. Non lo dico con rassegnazione. Penso ci sia un sacco di lavoro da fare e che tutti, nessuno escluso, possono dare una mano.
Intendo fare la mia parte.
Sia chiaro, come unica, netta premessa: non voglio mettere nessuno a tacere e qualsiasi prospettiva va bene. A me spaventa quando le voci diventano una sorta di monologo, si amalgamano a tal punto da omologarsi, pur se con picchi di grande qualità – com’è sempre accaduto e sempre accadrà. Il problema non è che i tempi cambiano e che, di conseguenza, cambi il modo di raccontarla. Il problema è se ce la raccontiamo in modo limitato, riducendo le possibili prospettive.
Il modello che va per la maggiore è quello che racconta di quanto schifo facciamo. Delle nostre meschinità, della nostra diffusa corruzione materiale e spirituale, dell’assoluta crisi valoriale che attraversiamo, di come siamo tutti parte di questo sguazzare nel fango.
Come se parlare tanto della merda ti facesse dimenticare il puzzo.
Si può concordare e magari apprezzare la qualità di certa denuncia. Eppure… Sicuri?
Non sarebbe forse, anche, il caso di provare a uscire da un simile pantano, spogliarsi di vesti nauseabonde e ficcarsi sotto qualche cascata gelida che ci lavi e costringa il nostro cuore a pompare forte, il nostro sangue a circolare meglio, il nostro pensiero a rinascere?
Non ci sto.
Non ce la faccio a farmi travolgere da tutta questa negatività. Non mi accodo alla spietatezza narrativa, perché non si semina altro che una consapevolezza sterile. Meglio la consapevolezza dell’illusione che tutto vada bene, concordo. Tuttavia preferisco la propositività alla consapevolezza.
Meglio indicare una via, anziché star lì a gridare che siamo in un vicolo cieco.
Ormai tanti anni fa mi feci travolgere dall’amarezza, dallo sconforto. Ero incapace di reagire, debole, parte del problema. Mentre “mi picchiavano” non reagivo, mi guardavo l’ombelico e, a fine batosta, mi rannicchiai in posizione fetale, piangendomi addosso, autocommiserandomi nel più sterile dei modi.
Sarà proprio perché ho già sbagliato che non voglio sbagliare più.
Oggi son tornato e non appena metto fuori la testa i bastoni si risollevano. Provano a colpirmi, ferirmi. Stavolta, però, ho un altro tipo di corazza, ho ben altra forza interiore. Non ho più le certezze d’allora, ché è sicuro soltanto il cretino, a questo mondo. Eppure sono coriaceo, convinto, e pretendo da me stesso di essere parte della soluzione, pur se infinitesima.
Ci son già passato, ho capito molto di me stesso e comprendo che quei bastoni non esistono. Non mi possono colpire. Sono bastoni a cui credono quelli che menano per ferire.
Molti non ne sono nemmeno consapevoli. Non sanno che hanno rinunciato, abbandonato la speranza, chiuso gli occhi e brancolano come forsennati con la bava alla bocca che colpiscono alla cieca. Pigliano chiunque gli passi di fronte, quelli.
Quelli che preferiscono tu sia mediocre e taccia.
Quelli che quando sollevi la testa sei arrogante.
Quelli che quando dici provano a zittirti.
Quelli che sanno e tu sei soltanto un presuntuoso.
Quelli che ti criticano perché sono perfetti.
Quelli che credono l’unico modo di vivere sia sgusciare da un’ombra all’altra per non dare troppo nell’occhio, assecondando la mediocrità di un eccellente sistema di controllo delle masse che comincia con la scuola.
Ti fanno sognare di trovare un lavoro che ti renderà schiavo. Ti fanno desiderare lo smartphone e poi ti incatenano ai social network. Non contenti ti spiano, usano tutto quello che dici e fai, creano intere gerarchie di ricchezza attorno a una massa di individui convinti di essere liberi, quando invece hanno avuto soltanto il privilegio di mangiare sette volte al giorno mentre c’è ancora chi muore di fame a questo mondo.
Una società che si basa sul senso di colpa, anziché sulla reazione alle ingiustizie, allo squilibrio, che invece di liberare imbavaglia sempre più, aggiungendo cappe su cappe di leggi, credenze, etichette fino a quando ti ritrovi talmente invischiato in te stesso che non serve nemmeno più controllarti: ti blocchi da solo!
Non muovi un dito.
Allora scrivi quello che va per la maggiore. Sogni di avere successo sul nulla cosmico di cui parli, indicando di continuo il problema, perché tanto basta quello per la fama, il denaro, le schiere di fan che ti idolatrano e combattono per te nei forum e sui social del mondo. Che nessuno ti tocchi!
Sei. Il. Verbo.
Il problema è che ti manca il soggetto, il complemento oggetto e una frase compiuta. Non sei niente. Sei l’ennesima furbizia sterile. Il solito seme ormai morto che, piantato in un terreno fertile, come i lettori sono, non germoglia. Muore prima di nascere virgulto.
Abbiamo bisogno di qualcuno che sia dirompente. Che dica cose importanti, che spinga a cercare soluzioni, che ingeneri riflessioni e che non si faccia intimidire dai primi, ignoranti bastoni che si levano per placare la sua furia costruttiva prima che sia troppo tardi e cresca.
Non sarò complice
Riprendo da dove m’ero fermato. È l’unica cosa che posso fare, perché piangermi addosso l’ho fatto per troppo tempo e non ricomincerò ora pensando ai dieci anni in cui non ho scritto una riga.
Mi sono stancato. Anzitutto di me stesso, di questo volare basso, di questo preoccuparmi che non mi dicano presuntuoso, arrogante, di questo zittirmi quando mi si avvicinano e provano a mettermi il bastone tra le ruote.
Se osi dire la tua con un pelino più di convinzione, proprio gli stai antipatico. Spesso cominciano a criticarti altrove, quasi mai faccia a faccia. I più eloquenti vengono al faccia a faccia con falsa innocenza, squalificano le tue parole con termini assoluti, a cui non si può replicare. Tanto efficaci quanto vuoti.
No. Ho rialzato la mia brutta testa e non la abbasserò più. Quindi colpiscimi, non mi ferirai. Insultami, non mi toccherai. Diffamami, non funzionerà. E sai perché questa volta non andrà come la prima volta?
Non ti credo più. L’errore fu mio e ho imparato.
So chi sono e so cos’ho da dire. Conosco la forza delle mie idee e non smetterò di scrivere, parlare. Se proverai a zittirmi, alzerò la voce. Se la alzerai pure tu, griderò. Non credo ti convenga.
Fa lo stesso, comunque. Provaci e vedrai. Se la tua voce si farà grossa, la mia tuonerà. Udirai il silenzio che ti seppellirà quando sarai così avventato da provocarmi. Udirai le mie risa quando ti sembrerà d’avermi deriso.
Scoprirai quanta forza danno le cose che provano a ucciderti invano.
Scoprirai che non funziona più, che sei un disco rotto.
Scoprirai che t’illudi di saperne di più.
E quante cose ho da dire.