Santificare il silenzio

È venuto il tempo di scegliere con cura il cibo con cui nutro la mia mente.

Shot by Andrea D’Angelo – All Rights Reserved

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20 Agosto 2023

I eri una “booktuber” americana piuttosto conosciuta – alla quale sono affezionato, perché ha fatto una delle migliori interviste a Steven Erikson che io ricordi – ha pubblicato un video in cui spiega perché ha abbandonato YouTube, dopo averlo fatto per anni con profitto. Riassumo: “Sentivo di non avere più una vita”.

Sempre ieri, deliziosa coincidenza, io prendevo le distanze da Facebook – l’unico social che uso.

Soffro da sempre la cacofonia di internet, quella in cui dici qualcosa e finisci a parlare con più persone contemporaneamente: prediligo il dialogo a due.

Soprattutto, internet finisce per fagocitarti. Erode la tua capacità di concentrazione, la quale dipende dalla capacità di startene da solo in silenzio a pensare per lunghi tratti della giornata.

È come se la melodia del proprio pensiero venisse continuamente interrotta dai rumori che ti scaglia addosso la strada del centro fuori dalla tua finestra spalancata. Un clacson spaventato, un altro che risponde nervoso, poi una moto che sfreccia e di nuovo quel maledetto martello pneumatico che non la smette di spaccare asfalto! Come se non bastasse, in sottofondo c’è un brusio da cui ogni tanto emerge qualche voce più squillante, imprevedibile come la goccia che fa traboccare il vaso.
In simili condizioni pensare è impossibile!

L’unica soluzione è chiudere la finestra.

Il concetto è davvero semplice: se non riesci a concentrarti, non dirimi, ovvero non arrivi alla soluzione. Di cosa? Una qualsiasi cosa.

Rispetto al passato, questa società ci vomita addosso tonnellate d’informazioni, stimoli, finché il troppo si trasforma in un chiasso assordante e non senti più nulla.

Non sono certo io il primo a dirlo. Oggi, però, appartengo a una minoranza che si allontana dal chiacchiericcio degli schiavi intenti a darsi pacche sulle spalle durante la pausa pranzo mentre parlano di schiavitù convinti di essere affrancati.

Non ne potevo più di me stesso. Non giudico gli altri, ma per quanto mi riguarda è venuto il tempo di scegliere con cura il cibo con cui nutro la mia mente.

Cosa tutt’altro che secondaria, di conseguenza migliorerà l’efficacia con cui parlo al mondo. E, certo, migliorare quest’aspetto significa anche, se non soprattutto, saper tacere.

5 commenti su “Santificare il silenzio”

  1. E quindi vuoi rilanciare il blog (nel senso di strumento). Io dai blog ho iniziato, nel 2007. E ne conservo ricordi belli. Ma anche brutti. Alcuni bruttissimi. Gli haters, allora erano solo troll, arrivavano e colpivano. Io non capivo molto di quel tipo di comunicazione. Rispondevo, mi prestavo, soffrivo, piangevo, ci stavo male. Questo per dire cosa? Che la comunicazione è cambiata e indietro non si torna. E che concentrarsi con mille stimoli che ti piovono addosso diventa facile se ciò che fai (riflettere, meditare, scrivere, leggere) ti appassiona veramente. Non è una critica. Non posso sapere quanta “distorsione” tu abbia subito dalla Rete, ma posso immaginarlo. E capisco il bisogno di silenzio. Come sai, amo andare in montagna, luogo delegato ai silenzi per antonomasia. Ma se riesco a portare con me, tra quei silenzi, gli amici e le persone che stimo… meglio. In ogni caso, come vedi, son qui a commentare. Spero che il blog non mi sputi, succede spesso. Per precauzione, mi copio questo pistolotto, ché riscriverlo non mi verrebbe bene. Buona domenica.

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    • Bello leggerti qui, Laura. Grazie per passare.

      Allora, non è questione di rilanciare il blog, ma di comunicare liberamente, senza censura possibile e in un luogo mio (di proprietà, cosa che i social non sono). Lo sai, io non uso i social in modo normale: scrivo cose lunghe, spesso articolate, uno che ben pochi leggono, due si perdono nel feed dopo un giorno: non è un problema di poco conto, perché mi tarpa le ali e semplifica a una povertà estrema di soluzioni comunicative.

      Qui mon soltanto posso formattare il testo come preferisco, ma posso creare contenuti interattivi che formino una rete ipertestuale che permetta di navigare tra contenuti tra loro legati. Ho sempre sentito questa mancanza. Un blog non è semplicemente un altro luogo, più appartato. È molto di più.
      Naturalmente questo è in parte valido soltanto per me (non la questione della censura e della proprietà, però), quindi capisco che c’è chi non ha affatto simili esigenze.

      Per quanto riguarda i mille stimoli, invece, mi trovi in disaccordo: il novanta per cento di quegli stimoli è robaccia, specie sui social (lì potremmo pure aumentare la percentuale). Quindi no, ritengo non c’entri molto con la riflessione e la conseguente scrittura: si tratta di sterile rumore di fondo, che nasce soltanto per durare il tempo di un po’ di visibilità e muore. Non dà frutti, non mi serve e non fa altro che consumare secondo dopo secondo il mio tempo.

      I troll? Che vengano qui a sputare sentenze, se proprio ci tengono. Là fuori sono già oltre vent’anni che lo fanno col sottoscritto: sono irrilevanti.

      (E sì, Laura, anche io rispondevo. Oggi li stronco e finisce lì: non ho più trent’anni. Non esiste dialogo con chi si comporta come un imbecille – e spesso sconfina in diffamazione.)

  2. Il problema della rete (uno dei problemi) è che per avere visibilità occorre avere sempre contenuti da pubblicare, altrimenti si perde terreno, si perdono visitatori. E i visitatori sono numeri, sono potere; un potere che serve per controllare. Si è andati a creare un meccanismo che crea dipendenza, che risucchia tempo ed energie, che fa correre troppo. Per questo occorre saper scegliere cosa seguire e quando staccare, altrimenti, come la persona di cui hai parlato nell’articolo, si rischia di avere tutti gli spazi della vita occupati e di sentire di perdersi.

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    • È così. Dipende, però, cosa si predilige: l’ego e la vanità o l’essenza e l’espressione.
      Personalmente ho capito che io sono del secondo tipo e che, di conseguenza, non funziono in questo sistema: non me ne frega più niente di essere letto da tanti, preferisco vivere!

  3. Già di fango se ne incontra abbastanza nella vita reale, se poi ci si deve avere a che fare anche nel virtuale (che lo vedo come un momento per staccare), allora non ne vale la pena. Preferisco altro (come dici tu, vivere. Vivere degnamente).

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