Scrivere narrativa richiede elasticità mentale

Se da un lato gli scrittori che non amano la pianificazione dovrebbero comprendere che è impossibile soffocare l’estro, dall’altro i pianificatori dovrebbero comprendere che i loro piani cambieranno sempre.

1 Settembre 2020

Plotters e pantsters, così li chiamano in inglese. I primi sono gli scrittori che pianificano i propri romanzi con abbastanza precisione prima di attaccare con la prima stesura. I secondi sono quelli che invece si mettono di fronte alla pagina bianca e considerano imprescindibile navigare a vista. I primi vengono tacciati di soffocare l’estro, i secondi di complicarsi la vita.

La mia idea è che le due tipologie di scrittori esistono, ma che la distinzione logica è un sofisma tipico dei nostri tempi, considerando quanto accade in realtà.

In fondo, ciò che conta è il risultato finale: il romanzo. E per ottenerlo, non v’è chi non veda, tutti gli scrittori mescolano i due approcci prima o poi.

Ho imparato a parlare per me stesso e, chiarisco, io appartengo senz’ombra di dubbio ai pianificatori. Non mi preme dimostrare nulla e quanto vi racconterò non è una tesi, ma mi piace l’idea di includervi nel flusso dei miei pensieri sulla scrittura.

Stessa scena, quindici anni dopo

La battaglia doveva essere cruenta, mettere a dura prova i protagonisti, ferirne uno, dimostrarne le capacità di combattenti e al tempo stesso la loro estraneità a tanta violenza.

Erano quindici anni che pensavo a quella scena. Avevo abbandonato il romanzo senza terminare il capitolo ventunesimo, all’incirca a metà prima stesura. E quella scena era diventata proverbiale nella mia mente.

Era “La scena che non fu mai scritta”.

Infatti mi chiedevo: “La scriverò mai?” Ero scettico, perché scriverla significava riprendere la storia con l’intenzione di terminarla. E ogniqualvolta la mia mente tornava al romanzo abbandonato, pensavo alla battaglia che non era mai avvenuta.

Alcuni giorni fa, finalmente, l’ho scritta. Ho ripreso a scrivere Il giorno dopo, il seguito del mio ultimo romanzo pubblicato, nel 2005 – come chi segue il mio Diario sa. Non è una notizia in sé, ma l’episodio contiene una verità di cui ero già a conoscenza: pianificare non significa affatto sapere come andrà.

Quella battaglia ha avuto quindici anni per radicarsi nella mia mente, eppure la scena che ho scritto è completamente diversa rispetto a quella immaginata per così tanto tempo.

Non sto scherzando. Ho persino dimenticato un particolare importante e dovrò inserirlo in revisione. Com’è possibile che me lo sia dimenticato, dopo così tanto tempo che ci pensavo?

Una domanda priva di risposta, che m’ha costretto a pormene una seconda dai risvolti più generali: come mai è andata così?

L’estro è potente nel flusso

Non ho mai ritenuto le critiche ai pianificatori una cosa su cui valesse la pena di elucubrare a lungo. Non perché non ritenga interessanti le teorie di chi non pianifica – ho scritto un intero romanzo a braccio, proprio per confutare la mia natura da pianificatore.

Non m’è mai interessato “aver ragione”, perché sono chi sono. Che senso ha negare la mia stessa natura? Ognuno è libero di credere che io sbagli. A me non toglie nulla, né io tolgo qualcosa all’altro se continuo per la mia strada.

Oggigiorno la tendenza a difendere le proprie posizioni è troppo marcata. Preferisco raccontare le mie ragioni, perché penso che magari qualcuno potrebbe trarne giovamento. E se no, ognuno per la sua strada.

Va da sé che ho sempre ritenuto interessante l’opinione di qualsiasi scrittore, senza mai pormi la domanda se fosse un pianificatore o meno. Tutti possono insegnarmi qualcosa, anche gli aspiranti scrittori.

I brutti romanzi m’hanno insegnato molto, ad esempio, e spesso cose costruttive. Anche gli scrittori che non mi piacciono possono darmi una risposta importante a cui non avevo mai pensato prima.

Insomma, considero che siamo tutti diversi e che trovo assai più edificante ascoltare – o leggere – che star lì a sindacare, quasi che la mia opinione avesse una qualche importanza per l’umanità.

La verità è che siamo tutti “scrittrice” o “scrittore” e come ci definiamo, dividiamo e raggruppiamo è poco interessante. Aiuta ad aiutarsi, ma non fa alcuna differenza quando si scrive.

Uno scrittore scrive. E quando scrive non esiste pianificazione che tenga.

L’estro prende sempre il sopravvento, manda qualsiasi piano all’aria, guida la tua immaginazione verso luoghi sconosciuti, detta i tempi, sceglie le parole, ti strattona all’improvviso e tu sei in totale balia della sua volontà.

È così che l’aspetto importante di una scena immaginata per quindici anni salta. Ed è così che una battaglia immaginata per altrettanto tempo è svanita nel nulla, in meno di mezz’ora. Al suo posto, appena nata, un’altra cosa. Diversa. Migliore? Credo di sì. Soltanto la revisione me lo dirà.

Sia chiaro, il dettaglio importante andrà inserito.

La necessaria flessibilità mentale

L’episodio ha spinto la mia riflessione un po’ più in là ancora. So che spesso ciò che appare lampante è invero una mera impressione. La sorpresa ci lascia in shock e la nostra prima interpretazione di solito sorge come frutto difensivo.

E se ciò che è successo fosse invece il sintomo di un cambio radicale del romanzo?

Me lo sono chiesto. Diciamolo, quindici anni possono cambiare la prospettiva dello scrittore su una certa storia. Non sarebbe nulla di così strano. Sarebbe forse assai più strano che nulla cambi.

Di conseguenza ho analizzato il senso dei quattro “fronti d’azione” del romanzo e la loro direzione. Uno per uno, come ho già fatto parecchie volte in passato. L’analisi ha chiarito che non è cambiato molto, ma qualcosa sì ed è sufficiente a deviare il corso della vicenda.

Non i suoi eventi, bensì il senso di quanto accade.

Cos’ho fatto, esattamente, analizzando i quattro fronti d’azione? La risposta è ovvia: ho messo in discussione la mia pianificazione.

Sei capace di mettere in discussione il romanzo che ti sta costando tempo e fatica? Possiedi la necessaria elasticità mentale a disfarti dei tuoi piani, se così vogliono i personaggi? Ovvero una parte di te?

Non importa quanti dettagli si mettano nero su bianco prima d’iniziare. È quando s’affronta la prima stesura che si capisce davvero la natura del racconto.

In questo sì, sono d’accordo con i non pianificatori: se quanto pianifichi non cambia mai in corso d’opera, allora non stai veramente scrivendo, stai seguendo in modo rigido uno schema mentale, anziché una semplice traccia che t’aiuta a seguire il filo e giungere alla meta.

Uno schema mentale non sarà quasi mai perfetto prima di vivere la sua storia. Non dubito esistano esempi di perfezione, ma sono certo che siano un’esigua minoranza.

Quindi, caro pianificatore, preparati all’imprevisto. E se tutto fila liscio fino alla fine, comincia a preoccuparti. Parola di pianificatore.

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