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12 Giugno 2022
A bolirei la scrittura creativa. Cresce schiere di persone che scrivono correttamente e non dicono niente.
Non sarebbe un problema, intendiamoci, anzi sarebbe buona palestra – quando chi insegna è degno – se l’editoria che conta, quella che penetra ogni capillare grazie al monopolio della distribuzione e fa circolare la “cultura”, non avesse smesso di essere selezione naturale per abbracciare esclusivamente lo scopo di lucro.
Poi penso che, in fondo, chi invece il talento lo possiede, spesso non rientra nei piani di conquista delle masse congeniati dalle case editrici, proprio perché quelle hanno smesso d’essere selezione naturale. Capisco, cioè, che chi ancora ambisce al cosa in scrittura e perciò antepone la passione, la riflessione e la prospettiva divergente al conformismo, in qualche modo deve farcela da solo.
Così, d’improvviso, la scrittura creativa m’appare un importante strumento, anche se è e resta un coltello che sin troppi afferrano dalla parte della lama, convinti che a lacerare l’anima dei lettori sia il manico foderato dalle regole, anziché il filo del senso.
Finalmente smetto di preoccuparmi, perché chi ha talento stringe d’istinto l’impugnatura e non abbisogna che qualcuno gli dica che una mano sudata non fa presa a dovere: le ovvietà non sono mai state ostacoli per il talento.
Il talento viene ostacolato solo e soltanto dall’enorme massa acritica degli incapaci.
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Insomma, non se ne esce. E l’origine del male è, tanto per cambiare, l’incapacità di chi ha il potere di cambiare le cose. O, forse, peccato grave, dalla volontà d’imboccare sempre la via più facile.
Già, forse non è incapacità, bensì pavidità.
Andare dove porta il vento di tempesta non dovrebbe essere la direzione di chi fa cultura.
Bisognerebbe sfidare gli uragani dell’omologazione, navigare testardamente di bolina, stretta o larga che sia. Avere una rotta, insomma.
Invece si pubblicano quintali di carta straccia, si osteggiano generi che il mondo ha già eletto e s’ignorano scrittori che hanno personalità, spessore e prospettive uniche dall’alto di pretese elitarie che sono soltanto scuse.
Chi cerca con insistenza scuse è un autolesionista. È ottuso.
Continueremo a essere il solito Paese dal glorioso passato che va alla deriva nella luce arrossata dal proprio tramonto.
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Poi però penso un’altra cosa e mi allontano un po’; provo a usare il grandangolo e una quota che mi permetta maggior distacco. Mi sollevo nell’aria come un drone e mi defilo.
Non sarà che l’aver smesso di fare selezione naturale dell’editoria sia proprio sintomo che la selezione naturale è in atto? Del resto la selezione naturale agisce senza il nostro consenso, in qualsiasi ambito. È naturale.
Allora m’appare nitido un futuro in cui le case editrici non esisteranno più, sepolte dalla loro stessa strategia di sopravvivenza. Era sbagliata. Distopico fino a un certo punto, in quel futuro le schiere di persone che scrivono esisteranno ancora; tuttavia scrivere sarà ormai un esercizio quotidiano consigliato da medici olistici, ovvero palesemente privo di sbocchi che comportino successo fama e denaro, e il cui unico fine sarà un maggiore equilibrio interiore volto alla cura dell’anima. Si userà per mettere in ordine, non per ambire, men che meno per osare.
“Il dottore mi ha detto che se voglio curare la mia ansia e l’insonnia devo camminare e scrivere ogni giorno, trenta minuti di buon passo e trenta di scrittura creativa. Leggi…” Bello lì, scritto nella ricetta a “chiare” lettere.
La letteratura non permetterà più a nessuno di guadagnare denaro. Così quella vera, che scava in profondità e pretende di raccontarti degli scavi in modo avvincente e ti conduce per mano fino al senso finale, sarà semplicemente un atto di resistenza clandestino, i cui eroi saranno celebrati nell’underground. Non dico fuorilegge, ma sì ribelli senza causa. E finalmente la frase “è una scrittrice”, “è uno scrittore” avrà assunto di nuovo il suo significato originale: “persona che comunica l’indimenticabile per mezzo della scrittura”.
Non è una battuta: non ricordo più quante cose ho letto e mi sono dimenticato.
Quante sono quelle che non hanno lasciato traccia di sé?
E quante, infine, quelle che mi passano di fronte, come nugoli di fastidiose zanzare?
Alla farsa odierna – che, ben inteso, non è tinta unita, bensì sfumatura, ovvero deriva, dacché si producono ancora cose di grande qualità in quantità – penso di preferire quel futuro. Appiana le cose e le mette nell’ottica giusta.
Se togli il guadagno materiale – senza demonizzare il denaro in sé – resta quello che conta.
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È uno dei motivi per cui mi sono posto “al di fuori”.
Il mio profilo lo dice chiaramente e con orgoglio: scrittore divergente, indie. In altre parole, non gioco più. O, meglio, gioco a modo mio, quindi forzatamente tolgo il disturbo. Mi sollevo e defilo. Non fraintendetemi, non è che ascendo: niente di new-age o di evolutivo; non ho simile pretese. Si tratta di sopravvivenza. Il mio è sano distacco da qualcosa di tossico.
L’underground esiste già. Lo so, perché in piccola parte lo rappresento.
Quello che vi sto dicendo è che noi Indie saremo sempre di più.
E non è una minaccia: è il futuro.