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2 Maggio 2023
L a mappa de I Silenzi è una cosa ciclopica. La quantità di dettagli di cui devo occuparmi è virtualmente infinita. Puff… Puff… Pant! Pant!
Adesso mi sto occupando delle città e dei paesini. Le città sono più di cento e sono ancora sul lato ovest, mi manca tutto l’est e metà del centro. E i paesini? Quanti saranno? Cinque a uno con le città? Cinquecento? Forse è più realistico pensare tra i settecento e i mille? Alla fine dovrò collegarli tutti con le strade e le strade sono diverse a seconda del territorio che attraversano…
…e che, alla fine, ognuna di queste cosettine minuscole dovrà avere un nome.
Naturalmente i nomi dovranno essere coerenti con la cultura degli “stati” cui appartengono. Ovvero capite che per crearli e piazzarli sul territorio dovrò pensare a qualcosa di specifico per ogni “stato” e che, di conseguenza, alla fine avrò tonnellate d’informazioni da *centellinare* nei miei romanzi? E che, quindi, l’ambientazione acquisirà uno spessore e una profondità internamente coerenti “soltanto” perché avrò disegnato la mappa del mondo in cui i personaggi si muovono?
Poi mi chiedono a cosa servono le mappe: servono all’autore!
Il lettore, al limite, se le gode, ma deve finire lì. Già, perché pensare che il lettore debba guardare la mappa per capirci qualcosa degli spostamenti dei personaggi è sciatteria. Il testo deve bastare a sé stesso, altrimenti si è poveri autori – poi, certo, se il lettore ha difficoltà con la rosa dei venti, le distanze e le misure, questo è un altro paio di maniche.
Nell’immagine vedete un brandello dei territori senza città, paesi, strade e nomi… (E con qualche cascata in meno, perché ne cadranno altre, lì: mancano taaante cose.)
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(Però mi sto divertendo come un maiale nel guazzo che ha pure una ciotola di ghiande per rifocillarsi ogni tanto, vista la fatica di rotolarsi per ore e ore e ore…)