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21 Agosto 2023
T utta la mia produzione letteraria è attraversata da una sottile linea verde. Non mi piace chiamarla “ecologismo” o “ambientalismo”, perché sin troppi associano entrambi i termini alla politica.
Non si tratta di politica, ma di chi sono.
Ho avuto la fortuna e il privilegio di crescere tra le valli delle Dolomiti, quotidianamente immerso in una natura incontaminata, diventandone parte integrante. Poi a dodici anni tornai a vivere in città, ma al centro del mio cuore un nucleo verde ormai pulsava irrefrenabile all’unisono coi battiti.
Tuttora pulsa: non soltanto ricordo, sono la natura che mi ha cresciuto.
Il tempo non esiste, dicono, forse perché sfreccia fulmineo e nessuno riesce mai a vederlo. È un attimo e quel ragazzino di montagna diventa un cinquantenne, ma l’età non gli impedisce di sentir pulsare i perché di quella sottile linea verde.
Non mi sorprende, no, che leghi indissolubilmente tutte le mie storie.
Le natura mi ha insegnato a non dare mai per scontato l’attimo e godermelo nella consapevolezza che passa. Come una meravigliosa creatura antropomorfa, è venuta a me e mi ha messo in mano il senso, dicendomi con voce gentile: “Ne sei custode. Ricorda che non hai altro”.
È sin dall’infanzia che lo difendo, quel senso.
Che senso ha?
È un senso ampio, che accoglie in sé l’esistente, anche quando invisibile o, spesso, visto ma non compreso. Gli infiniti significati che sono la trama stessa del senso s’intrecciano, ovvero se tiri un filo verde qui, un altro si ritrae più in là.
Non esiste alcuna azione a perdere in natura. Ognuna ha delle conseguenze e se a tratti ci sembra che così non sia è soltanto perché andiamo di fretta, osserviamo con superficialità o, semplicemente, non comprendiamo.
Il senso, dunque, non parla di noi soltanto, ma del tutto a cui apparteniamo.
La natura non sa cosa farsene delle gerarchie, perché è equilibrio. Ad esempio, quello che sta accadendo al clima altro non è che un complessissimo, globale e inevitabile riequilibrarsi. Naturalmente – è proprio il caso di dirlo – dipende da uno squilibrio.
Fa male sapere che lo squilibrio siamo noi.
Il senso è, allora, considerata la nostra relazione tossica con la natura, che non puoi rinnegare chi sei. Il concetto di resa è debolissimo, inattuabile, se provi ad applicarlo a te stesso.
Insomma, se chi sei e non puoi evitare di esserlo.
Non ha alcuna importanza se siamo tossici, se crediamo che non faremo mai in tempo a cambiare drasticamente, se e se… Tanti “se” che sembrano la scusa perfetta per non fare nulla, per lasciarsi andare alla deriva e sperare che “andrà tutto bene”.
Già, quei “se” non importano, specie se hai goduto di una natura incontaminata ed essa pulsa in te sin da quando hai memoria. Così tu continui imperterrito a proteggere il senso.
È probabile che non farà alcuna differenza, ma almeno il tuo sottile filo verde l’avrai teso per bene, affinché i posteri sappiano che i folli distruttori erano anche consapevoli.
Il mio sottile filo verde non serve a redimermi: troppo facile dire “ho scritto di questo scempio per tutta la vita”. Ci vorrebbe ben altro per sottrarmi alle mie responsabilità. Avrò però la soddisfazione di chiarire ai posteri che le scuse erano ipocrite.
La linea verde la conosco bene…
La conosci eccome!
Penso che chi riesce a vivere l’attimo, il presente, riesca a fare una gran cosa (che a me spesso non riesce perché volto a guardare quello che c’è da fare o quello che è stato fatto. E dire che con la natura sono molto a contatto).
Non è che mi riesca sempre, eh. Ho però questa capacità di rendermi conto quando qualcosa è speciale, mentre lo vivo. Mi basta un dettaglio e lo so. La cosa bella di quei momenti è che ammutolisco, quasi che mi annullassi: vivi qualcosa di speciale, te ne accorgi e resti lì, come spettatore della tua vita.