Vivo • 30

Non sono più un marchingegno di me stesso. Scrivere è una meravigliosa, dannata scoperta quotidiana.

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18 Aprile 2021

Il mio processo di scrittura della prima stesura è cambiato.

Mi ci è voluto del tempo per comprenderlo, ma questa è una realtà che è infine affiorata in tutta la sua ingombrante, pur se gentile presenza. Sono cambiato e non posso più far riferimento a me stesso nello stesso modo.

Sono diventato assai più panster di quanto fossi, col tempo. Quella pianificazione meticolosa, per punti, è divenuta qualcosa di molto più simile al “pensiero” a cui molti autori s’accompagnano prima di cominciare a scrivere. L’unica differenza è che scrivere è il mio modo di riflettere.

Gli schemi, i punti, quella macchinosità studiata è storia del passato.

Com’era e com’è

Riassumendo, tutti i passi restano inalterati, ma quando viene il momento di raccontare la storia il mio modo di approcciare il testo è sostanzialmente diverso.

Quello che io faccio con un romanzo è (sintesi estrema):

  1. Mi racconto la storia in forma scritta, senza badare troppo ai dettagli.
  2. Comincio a esplodere la storia, analizzando le varie parti. Attuo cioè una seconda stesura, ampliando e rimaneggiando.
  3. Individuo, ordino e separo i vari “fronti d’azione” (le sottotrame).
  4. Divido il tutto in capitoli logici, pezzi di storia che hanno un senso.
  5. Suddivido i capitoli in possibili scene.

Fin qui non molto è cambiato. Il punto 5 è un po’ diverso, perché quel “possibili” fa la differenza. Un tempo rispettavo quanto pianificato in modo pedissequo, valutando con molta pedanteria la possibilità di cambiare quanto ideato.

Oggi considero quella lista di “scene” davvero indicativa e tutt’altro che imperativa. Tant’è che i nuovi capitoli de “Il giorno dopo” che sto scrivendo in pratica sono tutti diversi rispetto a quanto pianificai nel 2006.

Ciò che però è davvero diverso è il non elencato punto 6.

Avevo creato per me il concetto della “Focalizzazione”, ovvero un succinto schema dei punti imprescindibili (fatti), da redigere rigorosamente prima di affrontare qualsiasi scena. Mi aiutava a non perdere la bussola e procedere nella direzione prestabilita senza deviazioni. Una Focalizzazione poteva essere più o meno così:

  • Tizio viene ferito gravemente; resta incosciente.
  • Caio lo nasconde e riesce a evitare che gli inseguitori li trovino.
  • Ritornano al rifugio in piena notte. Caio è frustrato.

Quando scrivevo la prima stesura, ero libero di dire e fare tutto ciò che volevo, ma quei tre punti dovevano essere presenti nella scena. Fine del metodo. Vantaggio spiegato con una sintesi semplice semplice: estro libero al 98%, direzione rispettata.

Oggi, invece, non riesco più a fare una cosa del genere. Non perché non possa, bensì non ne ho più voglia. Preferisco scrivere libero al 100%. Niente Focalizzazione: non voglio più fatti prestabiliti. I fatti si decidono vivendo. L’unica cosa che rispetto per non perdere la direzione è il senso del capitolo . Le scene, invece, sono quello che sono e le creo di volta in volta. Non so più cosa accadrà. Ne ho un’idea vaga e quella stessa idea può cambiare a tu per tu con il presente della prima stesura.

Il vantaggio è che la direzione riesco a rispettarla comunque, anche se può in parte risultare deviata – i ”rischi” del mestiere! Sono libero di seguire il flusso. Essere.

Ritengo che in questo modo il mio potenziale possa essere raggiunto. Col vecchio metodo, invece, potevo frustrarlo in partenza.

Il capitolo cardine de “Il giorno dopo

Ora vi faccio qualche esempio concreto.

Sono giorni che giro attorno al capitolo 31 de “Il giorno dopo”, uno dei cardini del romanzo, intitolato “Ignoranza”. Ebbene, tratta del nucleo pulsante di uno dei fronti d’azione, quello degli Uomini, ed è forse e simbolicamente il nucleo dell’intero romanzo.

Insomma, non posso sbagliare.

Ho letto il testo generico delle scene previste e… Mi sono fermato. Per tre giorni. “Ha! Blocco dello scrittore!” potrebbe pensare qualcuno. Peccato che il blocco dello scrittore non esiste. Esistono le pause creative. Esiste lo scrittore in crisi personale. Il blocco dello scrittore è una fola.

Avevo attaccato il capitolo, ma il racconto non fluiva. C’era qualcosa di fuori posto o che non riuscivo a chiarirmi il messaggio. Avevo bisogno di riflettere. Così sono andato a camminare nel bosco, per tre giorni di fila.

Ieri ho capito.

Ciò che ho notato è che raccontare cambia la prospettiva. La approfondisce, ma spesso approfondendo la devia. E la deviazione dev’essere registrata e seguita, non frustrata da una Focalizzazione seguita con paraocchi da pedante. In breve devo seguire l’estro, non incanalarlo.

Un tempo non avrei saputo che farmene di una simile “scoperta”. Oggi, invece, so che ciò che è affiorato è la mia essenza. In quindici anni sono cambiato, come persona, e questo è il mio nuovo modo di procedere e intendere la scrittura.

Più rischioso? Sì. Più selvaggio? Sì. Migliore? Diverso. Più sentito? Oggi sì, dacché alla vecchia maniera non sento una mazza. È una cosa troppo fredda.

Un tempo lasciavo che questa libertà appartenesse ai miei blog, ai miei messaggi sui forum – in cui scrissi alcuni dei migliori brani; oggi mi fa sorridere scoprire come non avessi colto questa verità su me stesso. Del resto siamo chi siamo nel momento: ciò che oggi può essere astruso, domani sarà lampante. Ebbene, oggi voglio applicare quella libertà alla mia narrativa.

Lo sto facendo sin da quando ho ripreso a scrivere a dir il vero. Oggi è soltanto ora di fissare per bene il paletto e rendermi conto che il mio nuovo vivere la scrittura è questo: arrivato al punto 6, rifletto. Non scrivo schemi. Penso al senso, penso a come mi sento nella storia, osservo l’orizzonte e cammino nella direzione che il racconto ha preso. I fatti si decidono da soli.

Continuerò a rispettare l’arco della storia, ma il percorso per arrivare alla meta sarà probabilmente molto diverso rispetto a quello che avevo previsto.

M’è accaduto coi Nani in Thèrmak – che sono a tutti gli effetti la sequela di campanelli d’allarme che mi ha portata alla realizzazione odierna.

Gli eventi che avevo previsto per i Nani non si sono verificati. Non tutti. Di conseguenza la logica che avevo impiegato è morta, perché certe cose l’hanno soffocata sul nascere, scoprendola insufficiente, fuori luogo, incoerente, poco efficace. Inutile e dannosa. Via, e che entri il nuovo!

Aria fresca.

A volte è necessario seguire il proprio dramma interiore per raccontare di una rinascita. Nessun percorso è frutto di sole scelte corrette, nonostante alla fine si raggiunga la meta.

Quello che mi sta accadendo è di amare la scrittura maggiormente per quello che è, non per il luogo rassicurante in cui usavo muovermi, dopo averlo costruito a mia misura.

Scrivere è una meravigliosa, dannata scoperta quotidiana. Bisogna soltanto avere la forza di guardare in faccia i propri demoni, se si vuol assurgere. Se lo si fa, però, allora può essere grande.

Ambire alla perfezione è cosa del passato da tempo, per me, ne sono consapevole. Mi scopro felicemente fallace, umano, e adoro esserlo per la prima vera volta – in passato magari lo dicevo, ma mentivo a me stesso. Considero un segno di maturità artistica questo mio attraversare a testa alta le avversità.

Vedo nello sciogliere le briglie un sintomo importante della guarigione che mi sto donando: essere più uomo e meno marchingegno di me stesso. Più naturale, meno preciso. Vivo.

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